Dopo 80 anni una nuova Yalta tra Usa, Russia e Cina

MONDO. Attenti a quei tre. E occhi puntati su una data: 9 maggio 2025. Non è un indovinello ma uno scenario che, dopo gli eventi degli ultimi giorni, diventa di ora in ora più plausibile.

Sappiamo che durante l’ora e mezza di conversazione telefonica, Donald Trump e Vladimir Putin hanno toccato una serie di temi relativi alla guerra in Ucraina e ai modi per fermarla, concordando sulla necessità di avviare subito un negoziato. Poi, sorprendendo un po’ tutti, il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha fatto sapere che i due presidenti avevano anche parlato della «lotta comune sui campi di battaglia della seconda guerra mondiale».

Anche Zelensky ha chiesto ripetutamente che al tavolo sedessero i rappresentanti della Ue ma il presidente Usa ha sempre fatto orecchie da mercante, impegnato com’è a tracciare per il collega ucraino un sentiero sempre più stretto

Un modo per riconoscersi, per ammettere di aver scritto insieme pagine nobili di storia. Ma forse anche qualcos’altro. Non è un caso se Putin, sempre molto parco di parole e di ottimismi, a uno stadio così precoce dei contatti ha invitato Trump a recarsi a Mosca. Guarda combinazione, è lo stesso auspicio avanzato dalla diplomazia della Cina, che da tempo lavora sotto traccia per non restare tagliata fuori dagli sviluppi ucraini e che, più o meno nelle stesse ore della famosa telefonata, invitava i due leader a incontrarsi. Neanche l’uscita della Cina, sempre attenta a pesare le parole, può essere estemporanea: a Pechino hanno capito che Trump ha pochissima voglia di coinvolgere l’Unione Europea (nemmeno nella formula allargata Ue-Nato-Regno Unito delle ultime riunioni) nelle trattative per la pace in Ucraina.

Anche Zelensky ha chiesto ripetutamente che al tavolo sedessero i rappresentanti della Ue ma il presidente Usa ha sempre fatto orecchie da mercante, impegnato com’è a tracciare per il collega ucraino un sentiero sempre più stretto: niente Nato, niente armi atomiche, elezioni da convocare al più presto, risarcimento in minerali e terre rare per gli aiuti ricevuti dagli Usa. E se al posto dell’Unione Europea, al famoso tavolo della diplomazia, sedesse invece la Cina? Che in questi anni ha dato una grossa mano alla Russia ma non ha rotto con l’Ucraina, e che in ogni caso resta un interlocutore con cui il progetto trumpiano di «fare l’America di nuovo grande» dovrà prima o poi confrontarsi.

Il rapporto Trump e Putin

A questo punto possiamo provare a unire i puntini. È chiaro che Trump e Putin, dopo essersi scambiati diversi complimenti (Trump: con lui mi sono sempre trovato bene; Putin: se non gli avessero rubato le presidenziali del 2020 la guerra in Ucraina non sarebbe scoppiata), vogliono incontrarsi. Per l’uno sarebbe la conferma del ruolo di pacificatore internazionale tanto sbandierato. Per l’altro, l’uscita clamorosa e definitiva dall’ostracismo decretato contro di lui dall’Occidente. E qui l’inaspettato riferimento alle comuni battaglie contro il nazismo, e l’invito a visitare Mosca offerto da Putin, ci forniscono un indizio: per sancire il ritrovato dialogo, quale migliore occasione della Parata della Vittoria, quella che si celebra sulla Piazza Rossa ogni anno, appunto il 9 maggio, per ricordare la resa del nazismo e la fine della guerra?

Il ruolo della Cina

Quelli sono i primi due punti. Il terzo è appunto la Cina: il presidente Xi Jinping ha già ufficialmente accettato l’invito del Cremlino a presenziare alla parata di quest’anno, l’ottantesima (1945-2025) della serie, che sarà chiaramente celebrata con il massimo dello spolvero e degli onori. Mentre è già chiaro che i Paesi dell’Unione Europea la diserteranno, come peraltro fanno dal 2015 (quella dei settant’anni) quando cominciarono a boicottarla in segno di protesta per l’invasione russa dell’Ucraina. Il 9 maggio, quindi, Trump, Putin e Xi Jinping potrebbero dar vita, a Mosca, a una specie di seconda conferenza di Yalta (febbraio 1945, altro ottantesimo tondo), con Usa, Russia e Cina impegnate non più a spartirsi le zone di influenza come fecero Stalin, Churchill e Roosevelt ma a regolare le relazioni reciproche prima che queste, dall’Ucraina a Taiwan, dall’Africa all’America Latina, possano sfuggire di mano.

Fantascienza? Vedremo. Certo è che l’ipotesi calza benissimo su questi tre leader, che interpretano la politica internazionale con criteri mercantili da un lato (è l’interesse che conta, un accordo si può sempre stipulare) e militaristi dall’altro (la forza serve, e in mancanza di un accordo…). Il 9 maggio non è lontano.

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