Ditte familiari,
ruolo decisivo

Secondo i dati Aidaf (Italian family business), associazione creata nel 1997 da Alberto Falck, «le imprese familiari rappresentano in Europa l’85% del totale delle aziende, il 70% del Pil e il 60% dell’occupazione». In Italia si stima che siano circa 784mila. Quelle con un fatturato superiore ai 20 milioni di euro rappresentano il 65% del totale delle imprese nazionali, consolidando un fatturato complessivo di oltre 730 miliardi di euro, con circa 2,4 milioni di lavoratori impiegati. Allargando la visuale a quelle con un fatturato inferiore a 20 milioni, la percentuale aumenta attorno all’85%. Le aziende familiari quotate rappresentano numericamente circa il 60% del mercato azionario - che vede quotate 290 aziende - e pesano per oltre il 20% della sua capitalizzazione.

Loro caratteristica peculiare è la longevità. Tra le prime aziende più antiche del mondo, 15 sono italiane e, tra queste, ben 5 sono tra le 10 aziende familiari più antiche tuttora in esercizio: Pontificia Fonderia di Campane Marinelli (azienda metallurgica , anno di fondazione 1000), Ricasoli (azienda vitivinicola, 1141), Barovier&Toso (azienda d’arte vetraria , 1295), Torrini (azienda di manifattura orafa , 1369), Marchesi Antinori (azienda vinicola, 1385).

Prosegue dunque il fondamentale ruolo svolto da queste realtà produttive per la tenuta economica del nostro Paese. Un tempo i figli delle dinastie industriali spesso non risultavano all’altezza del compito successorio, sia per evidenti carenze di personalità e di «fame», sia per la presenza ingombrante del «vecchio capo» che ritardava la propria uscita, di fatto impedendo che altri membri della famiglia assumessero per tempo le competenze e le esperienze necessarie alla conduzione aziendale. Ebbene, l’esperienza degli ultimi vent’anni dimostra che questo problema ha assunto connotati sempre più marginali, grazie soprattutto alla visione più «digital», «global» e «sostenibile» delle nuove leve. Il grande successo delle aziende familiari testimonia che nella maggior parte dei casi si è assistito all’avvento di seconde e terze generazioni che sono state messe nelle condizioni di saper cogliere il Dna imprenditoriale dell’azienda e di trasformarlo in qualcosa di nuovo.

Con l’avvento della globalizzazione si è temuto che soprattutto le aziende di piccole dimensioni non fossero in grado di reggere la sfida dell’apertura dei mercati. L’inasprimento della concorrenza ha certamente causato, in alcuni casi, gravi crisi che hanno portato anche alla cessazione di attività. Nella maggior parte delle aziende familiari manifatturiere, però, l’apertura dei mercati ha rappresentato un’occasione unica di sviluppo dell’attività, in particolar modo attraverso l’incremento delle esportazioni. Negli ultimi anni, fonti autorevoli si sono soffermate sulle difficoltà che le aziende familiari avrebbero incontrato nell’affrontare le sfide ecologiche, così come quelle legate allo sviluppo della tecnologia. A confutare questa tesi è intervenuta recentemente un’indagine condotta dal Centro studi Tagliacarne dalla quale è emerso come «le imprese manifatturiere a proprietà familiare investono di più in tecnologia 4.0 e green rispetto a quelle non familiari». Lo studio sottolinea che il sistema industriale, nel complesso, ha ancora molta strada da fare sul fronte tech e green. Evidenzia, tuttavia, come la percentuale di imprese familiari che hanno investito in tecnologie 4.0 tra il 2017 e il 2020 sia pari al 17%, contro il 15% di quelle non familiari. Gli investimenti green sono risultati del 27% per le imprese familiari e del 24% per le altre. Lo studio mette in relazione tutto ciò con «la conoscenza e la vicinanza al territorio delle imprese familiari che incide sulla volontà di ridurre l’impatto ambientale delle produzioni e favorisce la possibilità di creare network di eccellenze sui territori».

Infine, si evidenzia che le performance delle aziende familiari risultano sensibilmente superiori in quelle guidate da un management esterno. Oggi in Italia solo 18 aziende manifatturiere di proprietà familiare su 100 hanno fatto questa scelta di apertura e di confronto. Un punto questo che richiederebbe una maggiore visione strategica.

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