Disinnescare lo scontro commerciale tra Usa e Ue

MONDO. Si deve al francese Jean Monnet, primo Presidente dell’Alta Autorità della Comunità europea del carbone e dell’acciaio nel 1952, uno degli adagi più cari agli europeisti: «L’Europa sarà forgiata nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni adottate per quelle crisi».

Un detto che sembra scomparso nell’oblio proprio ora che sarebbe più utile, quando - a fronte delle prime mosse della nuova amministrazione Trump - le élite intellettuali e politiche della Ue oscillano tra due estremi: da una parte quanti fanno fatica a uscire da uno stato di shock e indignazione permanente, dall’altra quanti fantasticano di un’Europa che ritrova la sua centralità avvicinandosi ad altri blocchi geopolitici d’improvviso mitizzati, come quello cinese. Eppure la crisi del multilateralismo per come l’abbiamo conosciuto finora, della quale l’elezione di Trump è effetto e non causa, così come la crisi di un’Europa che non riesce ad assumere un ruolo da protagonista in un simile contesto, non sono nate all’improvviso. E difficilmente potranno essere risolte senza collaborare con lo storico alleato atlantico.

Perchè l’Europa è schiacciata dagli Usa

«Dimenticatevi gli Stati Uniti, l’Europa ha imposto con successo dazi su se stessa», aveva scritto non a caso sul Financial Times Mario Draghi tre settimane fa. Un’analisi quantomai attuale in queste ore in cui il neopresidente americano annuncia dazi anche contro il Vecchio continente. Per l’ex Presidente della Bce e premier italiano, ci sono almeno due fattori che hanno messo il nostro continente nell’angolo dell’economia globale. Il primo è rappresentato dalla «prolungata incapacità dell’Ue di affrontare le sue limitazioni sul fronte dell’offerta, in particolare le elevate barriere interne e gli ostacoli normativi». Elementi «molto più dannosi per la crescita di qualsiasi dazio che gli Stati Uniti potranno imporre», scriveva Draghi. Al punto che l’ammontare degli scambi commerciali tra Paesi dell’Ue non raggiunge neppure la metà di quello tra gli Stati Usa.

Così tante aziende dell’Unione cercano di compensare al di fuori dell’Ue la mancanza di crescita domestica, con il risultato tra l’altro di aumentare l’esposizione del continente al commercio globale (e alla sua instabilità). Il secondo fattore che frena l’Europa, sempre a parere di Draghi, è la «domanda interna persistentemente bassa, almeno a partire dalla crisi finanziaria del 2008».

Serve cambiare registro

Tra i motivi di questa debolezza, c’è stato un uso timido da parte dell’Europa della leva fiscale per investimenti produttivi; tra le conseguenze, c’è il ricorso a quei surplus commerciali verso gli Stati Uniti che tanto irritano l’Amministrazione Trump. Dunque cambiare registro, in questi ambiti, favorirebbe un riequilibrio dell’economia europea, facilitando lo sviluppo dei settori più innovativi, rafforzando gli investimenti pubblici (e non), reindirizzando maggiormente la domanda sul mercato interno, e allo stesso tempo porrebbe rimedio a una di quelle «atrocità» che Trump – a torto o a ragione – identifica nella postura commerciale del nostro continente.

La Commissione potrebbe rilanciare l’iniziativa per un accordo di libero scambio tra Ue e Stati Uniti

Né si tratterebbe degli unici passi che l’Ue potrebbe compiere nel mutuo interesse, proprio e degli Stati Uniti. Se a Bruxelles la prassi politica intende tenere il passo dei proclami anti-protezionistici, la Commissione ad esempio potrebbe rilanciare l’iniziativa per un accordo di libero scambio tra Ue e Stati Uniti. La discussione prese un certo abbrivio durante la seconda Amministrazione Obama (2013-17), salvo poi arenarsi soprattutto per l’opposizione di pesi massimi come la Germania. Un accesso privilegiato al mercato dei consumatori europei continua tuttavia a fare gola alle aziende americane; in attesa di un auspicabile accordo, Bruxelles potrebbe manifestare da subito la propria buona volontà limando alcune tariffe troppo onerose sull’import a stelle e strisce (a partire da quelli segnalati dallo US Trade Representative, dal comparto ittico a quello automotive).

Snellire la burocrazia

Allo stesso tempo c’è un ampio margine di miglioramento e snellimento del processo regolatorio europeo: le richieste di semplificazione e proporzionalità che arrivano da imprese e cooperative europee spesso coincidono con quelle dell’industria americana, in ambiti diversi che spaziano dall’intelligenza artificiale alle direttive sulla due diligence di sostenibilità (come emerge da un recente rapporto del Congresso di Washington). Infine per la leadership europea sarebbe auspicabile prospettare all’Amministrazione Trump una cooperazione commerciale più stretta vis-à-vis la Cina, a partire da dossier concreti come il perfezionamento del Critical Minerals Agreeement sui minerali critici.

Guerre senza vincitori

Nel mondo le sollecitazioni (a volte scomposte) di Trump suscitano risposte diverse. Con fermezza il premier canadese Trudeau ha denunciato per esempio che in una guerra commerciale come quella lanciata dagli Stati Uniti «non ci sono vincitori». E dopo le uscite di Washington sull’Ucraina, in queste ore arrivano da Bruxelles – e soprattutto da Berlino – segnali di apparente resipiscenza sulla difesa comune europea, impensabili solo fino a qualche settimana fa. Anche sull’economia, invece di alimentare una guerra commerciale Usa-Ue che ci danneggerebbe tutti, è l’ultimo momento utile per uno sforzo creativo che incarni – senza retorica – l’adagio di Monnet.

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