L'Editoriale
Martedì 07 Settembre 2021
Diseguaglianze
da governare
La pandemia ha ulteriormente accentuato la tendenza alla crescita delle diseguaglianze che si è manifestata negli ultimi trenta anni dopo l’avvento della globalizzazione. Le analisi più accreditate evidenziano
che tra il 2020 e il 2021 è sensibilmente cresciuta nel mondo la ricchezza dell’86% dei miliardari e che tale tendenza è destinata ad accentuarsi nei prossimi anni. Nel 2018 la remunerazione media di un Ceo di una grande impresa multinazionale era pari a 72 volte la remunerazione media di un lavoratore tipo della stessa organizzazione e a 117 volte quella di un lavoratore di ceto medio con contratto a tempo pieno e indeterminato.
Le aspirazioni del ceto medio sono inoltre state progressivamente frustrate dall’aumento dei costi dei beni e dei servizi essenziali come abitazioni, istruzione, servizi sociali e salute. Questo netto allargamento della forbice socioeconomica delle disparità che si è venuto progressivamente a creare nell’ultimo ventennio è stato alimentato anche dagli sconvolgimenti portati dalla «new-economy», con l’introduzione e la diffusione delle tecnologie innovative. La cosiddetta rivoluzione digitale ha messo in crisi i tradizionali sistemi produttivi della «Old economy», provocando un profondo mutamento nei campi tradizionali di lavoro. Allo stesso tempo l’economia, divenuta globale, ha aperto a nuovi settori come il terziario avanzato e a nuove opportunità di commercializzazione.
Questo scenario ha enormemente contribuito alla crescita delle disuguaglianze, determinando una tendenza che molti ritengono difficilmente contrastabile. Non la pensano così due autorevoli economisti dell’Università della California, Berkeley, Emmanuel Saez e Gabriel Zucman, i quali sostengono che le crescenti diseguaglianze debbano essere adeguatamente governate dalla politica per evitare drammatiche conseguenze sul piano sociale. Da qui la loro proposta, rivolta a tutti i Paesi del G20, di applicare un’imposta patrimoniale dello 0,2% sul valore delle azioni delle grandi imprese. Si introdurrebbe in tal modo una tassa «piatta» che avrebbe però effetti molto progressivi, perché la proprietà delle azioni si concentra prevalentemente tra i cittadini più ricchi. Prendendo ad esempio gli Usa - nei quali l’1% delle famiglie più ricche possiede circa il 33% di tutte le azioni societarie - il gettito stimato di una tassa pur così modesta determinerebbe un prelievo di 180 miliardi di dollari ogni anno, circa lo 0,18% del Pil del G20.
La proposta dei due economisti non ha trovato fino ad oggi alcuna applicazione. Tuttavia, l’accordo intervenuto nel G7 del 6 giugno scorso, confermato dal successivo G20 di Venezia del 10 luglio, rappresenta un primo passo avanti in questa direzione. Si tratta di un accordo di portata globale, che tende a realizzare un’armonizzazione fiscale prevedendo per i Paesi più sviluppati un’imposizione unica sui profitti delle multinazionali. La proposta, che entrerebbe in vigore nel 2023, si fonda su due «pilastri». Il primo richiede ai gruppi multinazionali - Google, Apple Facebook, Amazon, Microsoft ecc. - di pagare le imposte nei Paesi in cui operano. Il secondo è rappresentato da un’aliquota globale minima - «almeno del 15%» - che renderebbe del tutto inutile il ricorso ai paradisi fiscali. Questa soluzione cancellerà le digital tax che alcuni Paesi, tra cui l’Italia, hanno imposto sul fatturato delle multinazionali del web suscitando l’ira dell’ex Presidente americano Donald Trump, che per difendere le sue aziende ha imposto dazi nei confronti dei Paesi Ue che le hanno applicate. Secondo le prime stime, l’aliquota unica del 15% dovrebbe garantire un gettito aggiuntivo di 240 miliardi di dollari a livello globale, di cui 70 miliardi per la zona euro e 3 miliardi per l’Italia. Siamo certamente di fronte a una svolta che riguarda per il momento soprattutto l’armonizzazione dei regimi fiscali dei principali Paesi, ma che potrebbe aprire la strada anche a riflessioni del G20 circa la necessità di procedere a riforme fiscali più redistributive e ancora più incisive di quella proposta da Saez e Zucman. È significativo che in questa direzione si stia muovendo il presidente cinese Xi Jinping, il quale ha dato avvio a una campagna di «solidarietà» per fare in modo che chi ha «redditi eccessivi» restituisca di più alla società.
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