Disastri poco eccezionali: impariamo a governarli

BERGAMO. La cascata di acqua e fango che penetrando dalle vetrate si riversa inesorabilmente nella piscina di un centro sportivo in via Baioni, è la drammatica immagine che più rimarrà impressa, probabilmente, del nubifragio che nelle prime ore di lunedì 9 settembre ha flagellato in particolare i quartieri settentrionali della città e la Bassa Valle Seriana.

Poco dopo le 5 del mattino, l’intensità della pioggia in quest’area ha fatto registrare picchi tra i 203 e i 232 millimetri orari. Come se in un’ora si riversasse, nello spazio di un metro quadrato, una quantità d’acqua piovana pari a 232 litri. Il Morla, il piccolo e inoffensivo torrente che molti scambiano ancora per una roggia, il cui tratto urbano è per lo più nascosto sotto le nostre strade, in pochissimo tempo si è gonfiato a dismisura, ha sfondato protezioni e valicato argini, fatto scoppiare tubature e tombini, allagato cantine, garage, negozi. La natura si è ripresa il suo posto e lo ha fatto nel modo più spaventoso. Solo per un caso non ci sono stati feriti, ma i danni sono ingentissimi, ancora tutti da calcolare, sia per il patrimonio pubblico che per i privati. E come il Morla, altri piccoli corsi d’acqua hanno seminato disastri a Monterosso, Torre Boldone, Ponteranica, Alzano, Albino...

La quantità d’acqua caduta, ma soprattutto l’intensità del fenomeno, fanno parlare di un evento eccezionale. Ma si può parlare ancora di eccezionalità? Quanti eventi eccezionali abbiamo registrato negli ultimi anni? Fino a quando dovremo innalzare ancora più in alto l’asticella dei record? Nel 2023 gli agricoltori hanno chiesto lo stato di calamità naturale per la siccità, viceversa il 2024 potrebbe essere l’anno più piovoso dell’ultimo mezzo secolo. Ha ancora un senso usare parametri che vengono regolarmente superati?

Vero che il nubifragio, purtroppo, non è una novità. Il Morla ha già mostrato il suo volto più feroce con una certa costanza negli ultimi anni, a intervalli più o meno lunghi con esiti più o meno devastanti. Milano, per dire, ha già subito allagamenti 118 volte in meno di 50 anni. L’evento atmosferico di per sé, insomma, non è particolarmente significativo . Lo sono invece la sua frequenza e la sua intensità. È con queste variabili che oggi dobbiamo necessariamente misurarci. Ironia della sorte, proprio a febbraio di quest’anno era stato siglato il «contratto di fiume» per il Morla: una progettazione condivisa per rinaturalizzare il torrente urbano, per esempio con opere di depavimentazione. Proprio nella zona di Pontesecco, a Ponteranica, un progetto del Parco dei Colli riguarda il recupero dell’alveo del Morla, ingabbiato nel cemento dagli anni Settanta. Non è «solo» un recupero ecologico. Più verde significa migliorare il drenaggio del corso d’acqua, diluire la sua potenza distruttiva. Vasche di laminazione e casse di espansione sono altre soluzioni per smaltire grandi carichi d’acqua.La manutenzione dei letti dei corsi d’acqua, con la pulizia frequente da rifiuti e ramaglie, è garanzia per una gestione responsabile, che risponde agli orientamenti normativi di invarianza idraulica e idrologica prescritti per le nuove urbanizzazioni (sulla carta, come spesso accade, tutto sembra semplice e ben scritto, poi la realtà dei nostri centri congestionati, è altra faccenda). Infine, una catena informativa efficiente e puntuale tra previsione meteorologica e allerta civile può essere uno strumento di difesa efficace (e su questo ci sono modelli sperimentali anche in Lombardia).

Ma a fare la differenza sono anche comportamenti alla portata di tutti: la manutenzione periodica del verde lungo torrenti e fiumi, il rispetto per l’ambiente, evitando di scambiare le scarpate per discariche di rifiuti, l’attenzione agli sprechi, per non stressare sistemi di smaltimento già messi a dura prova. Il cambiamento climatico non fa sconti, lo abbiamo visto. Meglio sintonizzarsi tutti, il prima possibile, sulla stessa frequenza.

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