Diplomazie incrociate, Paesi arabi protagonisti

MONDO. Nei giorni scorsi la grande politica internazionale si è affollata sul Golfo Persico. In Qatar per le trattative tra Israele e Hamas. In Arabia Saudita per gli incontri tra le delegazioni degli Stati Uniti e dell’Ucraina.

E infine non «negli» Emirati Arabi Uniti ma con essi per provare ad avviare il supercomplicato confronto tra gli Stati Uniti e l’Iran sulla questione del nucleare: è stato Anwar Gargash, consigliere diplomatico del presidente degli Emirati, a portare a Teheran, al presidente Masoud Pezeshkian, la lettera di Donald Trump, che gli era stata consegnata dall’inviato americano Steve Witkoff ad Abu Dhabi. Mai come oggi, insomma, le strade della diplomazia passano per le petromonarchie del Golfo, cioè per Paesi che fino a pochi anni fa erano considerati, per usare un’espressione che era cara al senatore Usa John McCain, poco più che «distributori di benzina travestiti da Stato».

Il ruolo delle «petremonarchie»

Gli accenti sono diversi, perché non possiamo dimenticare che il Qatar era già stato protagonista delle trattative tra gli Usa e i talebani prima del catastrofico ritiro americano dall’Afghanistan. Ma non v’è dubbio che il nuovo protagonismo del Golfo (considerato come area omogenea per interessi, perché la rivalità, diciamo pure ostilità, tra Arabia Saudita e Qatar era accesissima fino a poco tempo fa) è un segno evidente dei tempi. Segnala, in primo luogo, uno spostamento di equilibri, a partire dalla perdita di ruolo dell’Europa, che non riesce più a esprimere una funzione conciliatoria in alcun quadrante del mondo. Basta osservare, a titolo di esempio, quanto accade in Siria. Mentre la Ue non riesce a dire una parola sui massacri di civili alawiti compiuti dalle milizie jihadiste fedeli ad Al-Jolani, l’Arabia Saudita mediava l’accordo tra il nuovo Governo siriano e i curdi. Quale delle due posizioni più ha contribuito a creare quella Siria inclusiva, multiconfessionale e multietnica che tutti auspicano?

Gli scontri tra i blocchi

A vantaggio dei Paesi del Golfo, poi, giocano i contrasti e gli scontri tra i blocchi. La guerra in Ucraina seguita all’invasione russa ha sconvolto, tra le altre cose, anche il mercato delle risorse energetiche e i corridoi commerciali, rendendo ancor più preziosi i rifornimenti e le vie che appunto per il Golfo passano. Il Q atar, l’Arabia Saudita e gli Emirati sono riusciti abilmente a navigare tra gli Usa, la Russia e la Cina, senza concedersi ad alcuno ma guadagnandosi l’attenzione di tutti. E nel contempo facendosi riconoscere un ruolo preminente anche dal sempre riottoso mondo arabo, che infatti proprio ieri ha riunito a Doha (Qatar) i ministri degli Esteri per provare a implementare il piano di pace per Gaza immaginato dall’Egitto. In un certo senso la stessa traiettoria percorsa con successo dalla Turchia di Recep Tayyep Erdogan, passato dal ruolo di autocrate tenuto alla larga a quello di prezioso intermediario.

Le zone d’influenza

E sempre per proseguire nel parallelo: sia la Turchia (con più decisione) sia gli Emirati e l’Arabia Saudita stanno allargando le loro zone d’influenza anche in Africa. Sia gli Emirati e l’Arabia Saudita (con più convinzione) sia la Turchia hanno compiuto una rapida marcia di avvicinamento ai Brics di cui Cina e Russia sono parte decisiva. Tornando alle mediazioni più importanti, quella su Gaza in Qatar e quella sull’Ucraina in Arabia Saudita, troviamo un elemento comune: la fiducia degli Usa. Fiducia nei sauditi, vecchi alleati sufficientemente cinici da poter essere considerati soci in affari dei russi ma non loro amici. E fiducia nei qatarioti, che furono molto efficaci nel mediare con i talebani e poi nello smorzare per quanto possibile le conseguenze del ritiro da Kabul.

La partita in gioco

Il problema, però, viene adesso. Ora che bisogna trattare con clienti che hanno l’acquolina in bocca. Israele vede in fondo al tunnel della guerra la prospettiva di prendersi Gaza, un pezzo di Libano, un pezzo di Siria e forse anche la Cisgiordania. Come convincerlo a fermarsi? E la Russia, cacciati gli ucraini anche dalla regione di Kursk, sente odore di vittoria. Stesso discorso. E qui agli emiri serviranno tutte le sottigliezze mediorientali per far capire agli interlocutori che le loro guerre sono grandi ma il quadro generale è più largo ancora e gli interessi di tanti Paesi sono in gioco. E l’interesse è sempre un’ottima spinta per mettersi d’accordo.

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