Democrazia diretta?
Non è più di moda

Viviamo l’adolescenza di un secolo cominciato con la rivoluzionaria proposta di alcune forme di democrazia diretta, sostenute dal convincimento che il popolo abbia pieno diritto ad essere non solo elettore, bensì anche legislatore e amministratore del proprio destino. Una rivoluzione tuttavia solo apparente per chi ha virtù di analisi storica. Tutte le esperienze di democrazia diretta che si sono succedute - partendo da quella di Pericle nell’antica Grecia o dei Comuni italiani in epoca medievale, fino ai casi legati alla rivoluzione francese - alla prova dei fatti hanno fallito. I detrattori della democrazia diretta obiettano inoltre l’impossibilità di convivenza tra democrazia diretta e Stati democratici fondati sulla separazione dei poteri.

Altri contrattaccano, sostenendo che i tempi siano drasticamente cambiati da quando Internet e la conseguente potentissima ascesa delle piattaforme «social» abbiano cannibalizzato ogni altra forma d’interazione sociale, divenendo le nuove, ormai irrefrenabili polis d’incontro e partecipazione.

Da qui la conseguente deduzione di taluni per cui l’utilizzo della Rete, quale strumento di partecipazione politica, sarebbe in grado di creare le condizioni per una compiuta e duratura attuazione di forme di democrazia diretta. Ne costituiscono esempi tangibili il Partito pirata (Svezia 2006), il movimento Occupy Wall Street (Usa 2011), il partito Podemos (Spagna 2014) e, naturalmente, il Movimento 5 Stelle in Italia (2008).

Quest’ultima dirompente sperimentazione politica, riuscendo a coinvolgere molti cittadini colpiti dalla crisi economica e delusi dalla politica tradizionale, è cresciuta in dieci anni fino ad ottenere, il 4 marzo 2018, un’incredibile affermazione con 11 milioni di voti. Proprio nello stesso periodo, tuttavia, entravano in crisi alcune esperienze di democrazia diretta come quella del Partito pirata tedesco, che con il «LiquidFeedback» - piattaforma studiata per raccogliere opinioni condivise all’interno di una comunità secondo i principi della «democrazia liquida» - dava spazio sia ai principi di democrazia diretta che rappresentativa. Anche per i 5 Stelle sono emerse ben presto pesanti incoerenze. Ad evidenziarle è stato il contratto di governo stipulato con la Lega di Salvini, durante il quale si è manifestata in più occasioni la scarsa rappresentatività che doveva essere garantita dalla piattaforma informatica «Rousseau». I deputati e senatori del Movimento si sono così trovati nelle condizioni di doversi fare garanti in Parlamento verso i propri elettori dell’attuazione di quel contratto, attenendosi ai principi della tanto vituperata democrazia rappresentativa. Rendendosi conto delle contraddizioni in cui si andava incontro e volendo in ogni caso affermare principi di democrazia diretta, il grillino Riccardo Fraccaro, ministro per i Rapporti con il Parlamento e la Democrazia diretta, si è fatto promotore di una proposta di «referendum propositivo» dichiarando: «Il nostro obiettivo è di portare l’Italia al livello delle democrazie più avanzate che integrano in sé democrazia diretta e rappresentativa».

Il referendum propositivo - che prevede la modifica dell’art. 71 della Costituzione e quindi la doppia lettura di Camera e Senato - è stato approvato alla Camera in prima lettura il 21 febbraio 2019. Prevede che i cittadini, raccogliendo 500 mila firme, possano presentare un’iniziativa legislativa, obbligando il Parlamento a discutere, analizzare il testo e promulgare una legge coerente con la volontà popolare. Detto sistema è operativo solo in alcuni Stati di Repubbliche federali come il caso della California. È molto differente da quello svizzero, spesso impropriamente portato ad esempio, che prevede di sottoporre a referendum solo proposte di modifica costituzionale e non proposte di legge ordinaria. L’iter di approvazione sarà complesso e dovrà tenere conto delle tante controindicazioni rappresentate da autorevoli costituzionalisti, ma per lo meno siamo di fronte ad un tentativo ragionato, finalmente non solo propagandistico, di dare risposte concrete all’evidente bisogno di aggiornare la politica alle mutazioni sociali in atto.

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