Democrazia in crisi, libertà in pericolo

MONDO. All’inizio sembrava solo un ossimoro, ma la cosiddetta «democrazia illiberale» è ormai parte della crisi della politica internazionale.

L’indebolimento della democrazia riguarda il declino dell’Occidente e rappresenta l’involuzione inesorabile del populismo, che ha già provocato abbastanza danni, anche nella versione tragicomica dei 5S italiani. Un piccolo libro recente di Alessandro Mulieri (edizioni Donzelli) prende molto sul serio la questione della trasformazione della democrazia liberale nel suo contrario, offrendo un retroterra alle autocrazie in crescita, più presentabili delle dittature, perché rispettose formalmente del vaglio elettorale.

L’evoluzione di una nuova dottrina

Nasce insomma una nuova dottrina, con tanto di ideologi ed esecutori. Tra i primi, Alexandr Dugin l’ispiratore di Putin, Steve Bannon il consigliere di Trump (che poco prima di finire in galera venne in Italia su invito della Meloni per fondare una scuola di formazione), o in Francia Alain De Benoist ed Eric Zemmour, quello che ha fatto sembrare moderata Marine Le Pen.

Sta di fatto che queste idee galoppano e alimentano consensi in crescita, che ingolosiscono i Salvini in calo e resuscitano il Farage inventore della Brexit a suon di fakes, e oggi più forte dei laburisti inglesi. Quella di Trump non è «democrazia illiberale» solo perché contrastata da pesi e contrappesi, che rallentano l’attuazione effettiva delle proclamazioni presidenziali, come ad esempio l’abolizione dello ius soli, protetto costituzionalmente, ma in Europa ha già vinto molte battaglie. Il fondatore del movimento, l’ungherese Orban, ha messo in piedi una compagnia di Patrioti e ha trascinato l’Italia ad isolarsi sulla solidarietà alla Corte Internazionale, dando a Salvini l’occasione di contraddire la politica governativa da lui vicepresieduta.

Il voto dà credibilità alla «democrazia illiberale»

Le tendenze elettorali regolari indicano comunque una crescita di consenso che mira a rovesciare il cammino unitario dell’Europa. L’affermazione di AfD in Germania e la crisi francese possono aggiungere combustibile a quanto già avvenuto in Olanda, Austria, Slovacchia, in prospettiva in Romania e Bulgaria, scoraggiando il commovente filo europeismo dei Paesi sotto minaccia militare russa. Il voto dà credibilità alla «democrazia illiberale», e abbiamo troppo rispetto delle urne per sottovalutare un fenomeno che richiede molta attenzione, visto che è già accaduto in passato che le dittature si affermassero inizialmente con il consenso.

Spezzando il rapporto tra democrazia e liberalismo, inteso come regolazione del potere nello stato di diritto, il voto diventa però autorizzazione a prendersi tutto, e giudicare antidemocratico escludere dal governo proprio AfD. Tutti i filtri danno fastidio: magistratura, enti di controllo, cultura, libera stampa, corpi intermedi. Nel mirino, in Italia, c’è già la futura Presidenza della Repubblica.Il rischio peggiore è allora di sganciare la democrazia dalla giustizia sociale, intesa non solo nel senso di welfare (invenzione del liberale Beveridge), ma nel senso di rispetto delle minoranze e dell’inclusività. La chiamano cultura woke, bersaglio di Trump fino a negare la crisi climatica, ma è orrendo, nella nostra mentalità, pensare che decine di migliaia di impiegati pubblici vengano licenziati da Musk solo perché applicati per mestiere a politiche di rispetto della diversità e delle minoranze.

L’autoritratto di Trump

Saltano principi apparentemente indiscutibili. Che dire di Putin che invade l’Ucraina, se poi il capo della più grande democrazia del mondo giudica naturale annettersi (o comprarsi, bontà sua) il Canada, Panama, la Groenlandia e la striscia di Gaza? O criticare la deportazione dei migranti, se poi lo fa il premier britannico, succube di emotività elettorale? Squadernando cartelle con ordini esecutivi a raffica si fa credere che finalmente la politica decida. Altro che orpelli del costituzionalismo liberale. E scatta la grande trappola che paventava un pensatore francese, Étienne de la Boétie. Il titolo del suo libro dice tutto: «Discorso sulla servitù volontaria». Eravamo nel 1589 ma è attuale: cedere la propria libertà per avere in cambio la sicurezza, garantita da un decisore efficiente che non perde tempo nelle formalità. L’autoritratto di Trump.

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