Degrado e aspirazioni
della culla di civiltà

Per la prima volta martedì scorso Papa Francesco è andato in visita in Campidoglio. Un evento di grande rilievo che il Pontefice ha nobilitato con un discorso teso a magnificare una città culla di storia e di cultura, faro di civiltà, esempio di accoglienza tra i popoli. Nel contempo Francesco non ha mancato di auspicare che Roma riesca a mantenersi all’altezza della sua storia millenaria. Auspicio che era, nel contempo, una preoccupazione per le attuali condizioni della città, alle prese con un degrado sempre più evidente. Il governo della città è indubbiamente carente; la giunta capitolina – al di là di quelli che possono essere i suoi meriti e le sue carenze – è in uno stato tellurico permanente. In tre anni sono cambiati 9 assessori, tra rinunce, dimissioni (date o imposte), ritiro del mandato.

Un ritmo da samba brasiliana. Per non parlare degli alti funzionari impigliati nelle maglie della giustizia penale, e del presidente del Consiglio comunale indagato. Se lo stato di salute, sul piano politico-istituzionale, non è buono, quello riguardante la qualità dei servizi pubblici è anche peggio. Due i settori che sono ormai una spina nel fianco di coloro che vivono a Roma, o che vi transitano: la raccolta dei rifiuti e il trasporto locale.

La città è, quasi dappertutto, un immondezzaio. Per quello che riguarda i trasporti, il buco nero è la manutenzione. Lo scorso anno furoreggiarono gli incendi degli autobus; quest’anno la palma d’oro del disservizio spetta alla metropolitana A, quella che attraversa punti nodali del centro. Le scale mobili cedono una dopo l’altra come tessere del domino. Dopo la chiusura della stazione di Repubblica, si sono rotte, nell’arco di pochi giorni, le scale mobili delle stazioni di Barberini e di Spagna. Con un meraviglioso gioco di simmetrie, le stazioni interdette ai passeggeri sono una vicina all’altra e le chiusure procedono regolarmente verso il nord-ovest della Capitale. A breve è prevista la rottura delle scale mobili nella stazione Flaminio e progressivamente fino al capolinea.

Se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere. Le stazioni sono nel cuore del centro cittadino. Tre punti di un segmento che comprende le più rinomate bellezze della «città eterna», i luoghi architettonicamente più importanti: fontana di Trevi, il Quirinale, il Mosè di Michelangelo, piazza di Spagna, piazza del Popolo, nonché alcuni musei e diverse chiese tra le più famose della cristianità. Al tempo stesso, in quel pezzo del centro, vi sono le strade più battute dai turisti con i negozi più eleganti della capitale. I più colpiti dalla impossibilità di servizi della metropolitana in quelle zone sono i turisti. Con un danno di immagine incalcolabile, se si tiene conto che sembra già un miracolo vedere migliaia di stranieri visitare, con impassibile pazienza, una città disastrata dalla pessima qualità dei servizi di trasporto e dalla sporcizia che invade le strade. A soffrire dell’azzoppamento delle stazioni della metropolitana sono anche gli abitanti della città, già normalmente penalizzati da un sistema di trasporto urbano indegno di una città moderna.

A cospetto di tale sconfortante stato di fatto, la sindaca non sembra per nulla preoccupata. Niente riesce a scuotere la sua granitica certezza che tutto vada bene e che il «cambiamento» sia in atto. Il che è vero, ma nel senso diametralmente opposto a quello auspicato in campagna elettorale dal M5S. La vicenda dei disservizi nella capitale d’Italia dovrebbe far riflettere sul deficit di competenza e di governo che la giunta Raggi dimostra. I problemi di inefficienza non nascono certo oggi. Ma questa circostanza non può diventare un paravento dietro il quale nascondere il fallimento sostanziale di un’ipotesi di «cambiamento», sbandierato con una faciloneria pari soltanto all’incapacità di produrlo realmente.

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