L'Editoriale
Sabato 14 Dicembre 2019
Defezioni nei 5 Stelle
Ora Di Maio Traballa
È stata davvero stizzita la reazione di Luigi Di Maio di fronte alle prime defezioni di senatori grillini emigrati nel gruppo della Lega dopo aver detto no al compromesso (puramente lessicale) sul Mes, il Fondo Salva-stati europeo. Di Maio è arrivato addirittura ad evocare la mano giudiziaria per verificare che non ci sia stato passaggio di chissà cosa tra Salvini e i neoleghisti. Reazione che denuncia la debolezza del leader politico che vede la situazione sfuggirgli via via di mano. La presa del ragazzo di Afragola sul Movimento sta venendo meno a causa dei troppi compromessi che il M5S è costretto a fare con gli alleati, ma soprattutto perché il passaggio dall’alleanza giallo-verde a quella giallo-rossa non è e non può essere indolore. In un primo momento è sembrato che i parlamentari grillini, pur di non andare a elezioni anticipate che li falcidierebbero, avrebbero accettato anche una prova così rocambolesca di trasformismo parlamentare. E invece le cose stavano sedimentando in maniera molto pericolosa per il vertice. E per tutto il vertice: anche Casaleggio, con la tassa che la sua società impone a deputati e senatori pentastellati si vede contestato: finora le defezioni dal pagamento erano state silenziose, adesso invece la ribellione dilaga a gran voce. «A che titolo dobbiamo pagare?» si chiedono in tanti.
Ê chiaro che i tre nuovi senatori acquistati dall’opposizione a Palazzo Madama rendono ancora più precaria la vita del governo. Già il voto sul Mes è avvenuto a strettissimo margine, non è chiaro cosa potrà accadere in futuro. E nell’immediato futuro, per l’esattezza, dal momento che la manovra economica deve ancora passare per il vaglio dell’aula. E se anche Conte decidesse di mettere la fiducia sul Bilancio (come quasi sicuramente sarà costretto a fare) nondimeno questo potrebbe costituire addirittura un incentivo a nuove defezioni. Senatori che non se la sentono di votare la fiducia all’alleanza con la sinistra potrebbero prendere la palla al balzo e andarsene dall’altra parte. Si è sempre saputo che il M5S è un coacervo di identità diverse, posizioni che danno da sinistra a destra, origini politiche le più bizzarre. Ebbene, la crisi governativa e insieme la sensazione che il consenso potrebbe precipitare a livelli ancora più drammatici delle ultime elezioni stanno mettendo in libertà le varie anime. Il risultato è quello del tutti contro tutti e presto, forse, del «liberi tutti». Si vedrà meglio in gennaio quando si voterà in Emilia Romagna e in Calabria: se è vero, come si dice, che lungo la via Emilia i pentastellati non si alzeranno sopra il livello di 6-7% dal 27 delle ultime politiche, allora la crisi interna si avviterà in modo incontrovertibile.
Per il momento Beppe Grillo mantiene in piedi Di Maio e il suo gruppo dirigente. Ma presto anche il «Garante» dovrà rendersi conto che serve un’altra mano per guidare la macchina in questo guado nel quale si rischia di affogare. Il punto è: chi? Certo non Di Battista, nemico giurato dell’alleanza col Pd che proprio Grillo ha voluto e in parte imposto. La scelta più logica, da un certo punto di vista, sarebbe Roberto Fico, presidente della Camera ed esponente dell’ala sinistra del Movimento. Ma Fico è capo di una corrente minoritaria, non gode di sostegni trasversali e oltretutto la sua posizione è talmente radicalizzata che potrebbe causare un’altra fuoriuscita di parlamentari più inclini al centrodestra. Insomma, come la si mette è un rebus per un movimento forse cresciuto troppo in fretta che rischia di liquefarsi con la stessa velocità.
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