Debito, la via che spiazza la politica italiana

IL COMMENTO. Il ministro Giorgetti intende tenere i conti in ordine. Il mandato è contenere il debito pubblico. Ed è un confine che non si può travalicare. Altrimenti si dimette. Una linearità di comportamento che spiazza la politica italiana.

A Roma e dintorni si diventa concavi e convessi quando si tratta di elargizioni all’elettorato. Il Bilancio italiano è sotto osservazione perché in questi anni anziché diminuire è aumentato ancora. Secondo Banca d’Italia dal gennaio 2023 a marzo 2024 è cresciuto di 97 miliardi. In ragione dell’aumento dei tassi di interesse è già contabilizzato un debito di tremila miliardi per il 2025. Un’emergenza che spiega il voto di fiducia annunciato per la votazione in aula delle revisioni al Superbonus. L’Italia è già in procedura di infrazione per aver superato i limiti concordati in sede europea, altri scivolamenti avrebbero un’immediata ripercussione sui mercati. Un rischio che Giorgia Meloni non può correre. Per spostare l’attenzione su temi cari agli alleati, si porta in Consiglio dei ministri la separazione delle carriere per la pubblica accusa. Resta il fatto che un ministro delle Finanze si è fatto carico della responsabilità di guardiano dei conti e non deflette dal suo impegno.

Nella storia della Repubblica un comportamento che segna un cambio di passo. Un’europeizzazione del ruolo che avvicina l’Italia alla prassi delle democrazie consolidate. I conti diventano sopportabili per chi investe nel nostro debito solo se c’è un governo che esprime affidabilità. È questo il primo mattone sul quale creare credibilità. Tanto più che il vento sta girando. In Europa è ancora diffusa l’opinione che l’unica cosa sulla quale la politica italiana sa unirsi è quando si fa debito. La recente votazione al Parlamento europeo sulle nuove regole per il debito e il deficit di bilancio ha visto i partiti di governo e l’opposizione uniti. E questo nonostante il governo avesse concordato con i partner il testo definitivo. Come si dice a mezza voce nei corridoi della politica europea, il vero rischio è di far diventare l’euro una seconda liretta italiana, esposta alla svalutazione. L’espansione del debito è infatti un fattore che accomuna tutti gli Stati europei. La Germania per restare sul primo della classe è a quota 2.500 miliardi di esposizione, a circa l’80% del Pil quando prima del Covid era a quota 59%, cioè sotto il limite europeo allora previsto del 60%. Il nuovo Governo «semaforo» su spinta dei liberali ha mantenuto il vincolo di bilancio. Non si fanno spese che non siano coperte da entrate. Di fronte però alla rivoluzione seguita al taglio del gas russo occorre investire sulle rinnovabili. Per tenere bassi i prezzi dell’energia elettrica bisogna sovvenzionare le imprese, per riarmare l’esercito ci vogliono miliardi. Dove trovare tutte queste risorse? Semplice fuori bilancio. Fondi costituiti a parte i cosiddetti «Sondervermögen» che non vengono conteggiati a bilancio. Il pareggio è formalmente garantito. Peccato che il trucco non sia piaciuto alla Corte costituzionale tedesca.

Di colpo 60 miliardi sono stati cancellati. E a quel punto all’interno del governo sono cominciati i litigi. Come si fa a finanziare tutti gli investimenti se non ci sono soldi? Si fa debito e basta. Per i Liberali del ministro delle Finanze Christian Lindner tempi difficili. Tantopiù che anche nella Cdu i fan di Draghi aumentano. La linea del debito buono fa breccia. Emissioni di titoli condivise in Europa sono condizione ineludibile per far fronte ai mille miliardi da investire nella transizione energetica. Il problema è l’affidabilità di Paesi come il nostro. Il ministro Giorgetti lo sa e ha alzato il vessillo affinché tutti anche in Europa lo vedano.

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