L'Editoriale
Martedì 04 Aprile 2023
Dalle urne un giudizio sul welfare scandinavo
ESTERI. Sorpresa. In Finlandia neanche una popolarissima premier è riuscita ad evitare la sconfitta dei socialdemocratici. A questo punto, dopo la vittoria delle forze di ultradestra in Svezia nell’autunno scorso, la domanda è se il tanto rinomato «modello di Stato sociale» scandinavo sia oggi al capolinea nell’epoca della globalizzazione.
La 37enne Sanna Marin non è un politico qualunque e i suoi successi non sono roba da poco. È stata infatti la più giovane presidente di un governo al mondo, ha guidato il «Paese dei mille laghi» nei tragici mesi della pandemia assumendo decisioni estremamente delicate, ma soprattutto è entrata nella storia per l’adesione della Finlandia all’Alleanza atlantica dopo decenni di neutralità. Meriti del genere non sono bastati per farla riconfermare primo ministro, facendo vincere ai socialdemocratici le legislative. Secondo non pochi detrattori locali, negli occhi dell’opinione pubblica sono rimaste le immagini in cui Marin partecipava a feste con amici, come se una giovane donna non avesse diritto ad una vita privata.
Alla vigilia del voto i sondaggi davano i tre maggiori partiti finlandesi staccati tra loro per pochi decimi al 20% ognuno. Marin, veniva evidenziato, doveva fare attenzione soprattutto all’ultradestra che aveva impostato una dura campagna elettorale, utilizzando a spron battuto i social media. La popolarità della premier contro la forza di TikTok, era stato pronosticato. Alla fine, ha vinto il terzo incomodo, l’unico uomo tra i leader, il centrista Petteri Orpo. Emblematici i temi su cui ci si è confrontati: lavoro, immigrazione, debito, tasse, Russia. Con una popolazione in rapido declino demografico (meno di 50mila nascite annue), la Finlandia ha una cronica mancanza di lavoratori (i posti vacanti sono passati dal 25% nel 2019 al 60% nel 2022). Helsinki si trova nella necessità di doverli cercare all’estero.
La paura è, però, di ritrovarsi nella stessa situazione della Svezia, dove vi sono problemi di integrazione ed, è stato denunciato, si sono create delle enclave, in cui nemmeno la polizia entra più. Soprattutto nella capitale e nella seconda città del Paese, Turku, difficoltà con gli immigrati vengono già segnalate da tempo.
Le destre hanno accusato così lo Stato sociale nazionale, definito troppo generoso e poco stimolante per gli stranieri - non abituati a certe condizioni di favore - ad impegnarsi come si deve; i sussidi ai disoccupati poi sarebbero eccessivi. Se il discorso passa alla forza lavoro specializzata, in Finlandia è notte fonda.
Il sistema sanitario nazionale non riesce a trovare infermieri nemmeno a pagarli oro. In tutto sono ben 56 i settori in cerca di lavoratori ben addestrati e con esperienza. Nei mesi scorsi si è corsi ai ripari con i profughi ucraini, ma è stato un palliativo. L’industria tecnologica - la Finlandia è pur sempre la patria della «Nokia» - ad esempio necessita di non meno 130mila impiegati nei prossimi 10 anni.
Il «Paese dei mille laghi», tra i più felici al mondo (stando alle relative classiche), però, non si propone sui mercati internazionali del lavoro come dovrebbe - sostengono gli esperti - temendo forse contraccolpi inattesi.
Ma ci rendiamo conto: a Marin è stato pure rinfacciato di aver fatto troppo debito (dal 64 al 73% del Pil in 4 anni) per sostenere lo Stato sociale. E allora, che fare?
Gli elettori scandinavi sembrano ora aver dato il loro responso: saranno i nuovi leader a dover trovare le giuste modifiche ad un modello, ammirato per decenni, che rischia il tramonto. Ma intanto, la Finlandia è da oggi un nuovo Paese della Nato.
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