Dal voto in Spagna nuove spine per Meloni

IL COMMENTO. La delusione in casa Meloni è stata davvero grande: l’alleato spagnolo Vox non solo non andrà al governo ma è stato pesantemente punito dall’elettorato che gli ha sottratto ben 19 seggi dei 40 della precedente legislatura.

Un disastro che in qualche modo colpisce direttamente e personalmente la premier italiana la quale si è spesa con molto calore a favore di Vox e del suo leader (che oggi rischia la poltrona) per fare in modo che, dopo l’Italia, anche la Spagna confermasse lo spirare del vento della destra con tale intensità da portare, con le elezioni europee (primavera 2024) ad una inevitabile alleanza tra i popolari conservatori del Ppe e le destre di varie nazioni, soprattutto quelli riuniti nel gruppo CeR capeggiato proprio da Meloni: obiettivo, espugnare il salotto buono del potere comunitario. Meloni prevedeva una sola esclusione, quella dell’AfD in Germania e della Le Pen in Francia che invece sono alleati di Salvini: il leader della Lega oggi si toglie un sassolone dalla scarpa ricordando alla sua alleata che, se si vuol vincere, «non bisogna fare esclusioni». Salvini rischiava lui stesso l’emarginazione da un progetto tanto ambizioso quanto quello coltivato da Meloni e dal tedesco Weber (Ppe), ora si può prendere la rivincita rivendicando la giustezza della propria ricetta: difficilmente però la presidente del Consiglio cambierà strada anche se dovrà accettare un esito delle elezioni di primavera assai più incerto di quanto apparisse solo qualche giorno fa, prima del voto spagnolo.

Una situazione che riporta d’attualità il tema delle alleanze con il vertice in carica dell’Unione soprattutto nel momento della grande conferenza sull’immigrazione convocata a Roma dal governo che ha escluso i tedeschi e soprattutto i francesi, i nostri più forti competitori in Africa e nel Mediterraneo. Una scelta che Meloni potrebbe dover pagare quando entrerà nel vivo la discussione sul nuovo Trattato di stabilità che riporterà in primo piano la questione della nostra mancata ratifica del Mes e ci metterà in difficoltà nel nostro tentativo di modificare un Pnrr che non siamo in grado di attuare e che ci sta facendo correre il rischio di un gigantesco flop dai pesanti risvolti finanziari. Quindi politica estera in primo piano per l’inquilina di Palazzo Chigi che comunque ieri si è presa tutta intera la scena di fronte ai Paesi del Nord Africa rispetto ai quali l’Italia è tornata ad avere ambizioni «alla Mattei» per citare il grande imprenditore di Stato cui Meloni ha dedicato il «piano» per la rinascita dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo da cui provengono i flussi migratori che più interessano le nostre coste.

Sul piano interno siamo alla vigilia del voto di sfiducia individuale sulla ministra del Turismo Santanchè: la mozione presentata dal M5S e che verrà votata da tutta l’opposizione (probabilmente con la sola eccezione di Matteo Renzi), sarà certamente respinta ma non saranno pochi nella maggioranza ad esprimere dubbi su una difesa ad oltranza di una esponente di FdI la cui posizione giudiziaria, almeno stando alle cronache, si va ogni giorno complicando. Mentre al Pirellone si tira un sospiro di sollievo per l’assoluzione del governatore Fontana e dell’ex assessore Gallera (processo sulla gestione dell’emergenza Covid in Lombardia) non così si può dire tra i Fratelli d’Italia che vedono minacciati i due protagonisti della loro crescita elettorale e di potere: la Santanchè, appunto, e il presidente del Senato La Russa.

Nel frattempo Meloni offre una tregua all’opposizione nella battaglia sul salario minimo: la maggioranza potrebbe soprassedere all’emendamento che sopprime la proposta di tutti i gruppi di minoranza proponendo di tornare a discuterne a settembre. Conte e Schlein non sembrano disposti a venire incontro ad una maggioranza non più così sicura di se stessa.

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