Dal Veneto leghista nuova grana per Salvini

ITALIA. Dopo che il governo si è rivolto alla Corte Costituzionale per bloccare la possibilità di un terzo mandato dei governatori regionali, entrambi gli schieramenti sono entrati in sofferenza.

Per esempio il centrosinistra deve gestire la «grana» di Vincenzo De Luca che già pensa ad un suo movimento senza e contro il Pd di Elly Schlein che potrebbe costare ai democratici una regione chiave come la Campania, magari a favore di un sodale di De Luca o della destra, favorita dalle divisioni altrui. Ma un altro rombo sismico si sta avvertendo ogni giorno più forte, questa volta dalle parti della Lega, anzi della Liga. I veneti non sentono ragione: o si ricandida Luca Zaia (se il governo non la spunta) o si presenta un candidato indicato da Luca Zaia. In ogni caso dovrà essere un leghista, anche a costo di correre da soli e di spaccare il centrodestra pur di impedire a Fratelli d’Italia di coronare il sogno di conquistare il trono che per quindici anni è stato del «Doge». I veneti sono furibondi e se la prendono anche con Matteo Salvini che, secondo loro, non si fa sentire abbastanza con la Meloni. Per esempio al Consiglio dei ministri che ha deciso di impugnare la legge regionale della Campania, Salvini non c’era e la sfuriata l’ha dovuta fare il solo ministro Roberto Calderoli.

Al centro Matteo Salvini: secondo i veneti leghisti non si fa sentire abbastanza con la Meloni

Salvini messo all’angolo

La Lega, per quanto sia tradizionalmente compatta quando si tratta di difendere il leader, non ne può più

Non è un buon periodo per il Capitano. Non bastano i guasti dei treni a dare fiato alle trombe dell’opposizione («Salvini il peggior ministro dei Trasporti»), no, ci si mette anche Giorgia Meloni ad allargarsi sempre di più. Bastava assistere alla conferenza stampa di inizio anno per capirlo: ha annunciato il no al terzo mandato, ha sbarrato le porte del Viminale a Salvini che vorrebbe tanto tornare lì, ha glissato (come abbiamo scritto qui) sulla questione della riforma dell’autonomia differenziata firmata da Calderoli e smontata dalla Corte Costituzionale, e semmai ha insistito sulla riforma del premierato, che le preme ben di più. E poi, appunto, i suoi stanno dando l’assalto al Veneto proprio con il grimaldello del no al terzo mandato che impedisce a Zaia di rimanere dove sta. È troppo: il partito, per quanto sia tradizionalmente compatto quando si tratta di difendere il leader, non ne può più. Vede i voti diminuire (ma non in Veneto) e vede Forza Italia che supera il Carroccio, vede Meloni che straripa e occupa pezzi di elettorato che furono leghisti.

Si sente messo all’angolo e se la prende con il capo. Il rombo viene dal Veneto ma anche dalla Lombardia (Massimiliano Romeo è diventato segretario regionale costringendo il candidato salviniano a ritirarsi), dal Friuli Venezia Giulia di Massimiliano Fedriga, dalla provincia di Trento con Maurizio Fugatti. Al segretario, se vuole risalire la china serve qualcosa, un colpo di teatro, un’iniziativa. Per esempio: se la Liga vuole andare da sola e battersi contro Fratelli d’Italia, Salvini che farà? Appoggerà i suoi o starà con Meloni e Tajani (che ha già detto: «Chi divide sbaglia sempre»)? Da una parte gli alleati-concorrenti, dall’altra il partito e i governatori: un rebus.

A Meloni converrebbe una Lega destabilizzata o tentata di alzare la testa: con un alleato in queste condizioni la tenuta del governo diventerebbe un problema ben più serio

Però c’è da dire che neanche a Meloni, a ben vedere, converrebbe una Lega destabilizzata o tentata di alzare la testa: con un alleato in queste condizioni la tenuta del governo diventerebbe un problema ben più serio di quanto non sia stato fino adesso, un continuo esercizio di equilibrismo, magari di fronte a gruppi parlamentari leghisti lasciati a briglie sciolte «in difesa del Nord». Già, perché poi, al fondo, è questo il problema: la Lega vuol tornare nordista, altro che Lega nazionale, altro che Ponte di Messina.

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