Dal G7 in Italia alla Svizzera, il mondo diviso in due

IL COMMENTO. C’è un legame evidente tra il G7 che si è appena concluso in Italia e la Conferenza di pace sull’Ucraina che si è appena aperta in Svizzera. E sta nel fossato sempre più ampio che si apre tra il cosiddetto Occidente (che ingloba, in realtà, anche parti di Oriente come il Giappone e la Corea del Sud) e il cosiddetto Sud globale (che ingloba, a sua volta, parti di Nord e di Est).

Al G7 lo si è visto benissimo con la trascuratezza con cui il consesso (Italia, Usa, Francia, Germania, Canada, Regno Unito e Giappone) ha pensato di liquidare la questione di Gaza con il rituale «diritto di Israele a difendersi» e l’altrettanto rituale invito a praticare la soluzione «due popoli due Stati». Come se nessuno dei leader sapesse che la nascita di uno Stato palestinese è stata resa impossibile dall’espansione territoriale illegale di Israele e che, in ogni caso, non si può certo convincere Israele a cambiare strada con le sole parole, mentre intanto lo si inonda di armi o, per restare all’Italia, si sanziona proprio nei mesi della crisi peggiore l’Agenzia dell’Onu che porta aiuto ai palestinesi.

Non è difficile immaginare che effetto faccia un simile atteggiamento agli occhi dei leader di Turchia, India ed Emirati Arabi Uniti, presenti in Puglia. Per non parlare dei non presenti, che non sono solo il Sudafrica e gli altri Paesi che l’hanno affiancato nel portare Israele davanti alla Corte penale internazionale dell’Aja ma i tanti che osservano e giudicano un blocco politico che sembra predicare bene e razzolare male. Lo stesso solco rischia di aprirsi sulla questione ucraina. La Conferenza svizzera si chiama «di pace» perché così piace a chi l’ha convocata e vi partecipa. Ma la pace si può fare solo «insieme» al nemico, non contro di lui. E se la Russia non è stata invitata perché Zelensky non vuole sedersi allo stesso tavolo di Putin, e se l’unico programma della Conferenza è implementare il «piano Zelensky» (che in sostanza chiede la resa della Russia) e se l’idea è comunque di continuare a combattere (anzi, a far combattere gli ucraini) fino alla vittoria sul campo, non ci si deve poi stupire se la Cina non viene, l’Arabia Saudita e la Turchia mandano i ministri degli Esteri, India e Sudafrica nemmeno quelli, e via via scalando.

È come se il mondo si fosse diviso in due, con ogni metà che parla solo a se stessa. E il punto, ormai, non è più stabilire chi ha torto o chi ha ragione. Vogliamo ripeterci per la milionesima volta che Putin è l’aggressore e i terroristi di Hamas gli assassini? Facciamolo, se pare utile. Ma la vera questione, oggi, è come uscire da questo sanguinoso stallo. In cui Hamas non è stato «sradicato», come diceva Netanyahu, mentre 36mila civili sono morti. E la Russia non è abbattuta, mentre chi rischia di sparire è il popolo ucraino. Non è un caso se tra il G7 e la Conferenza svizzera, con tempismo da teatrante che vuol rubare la scena, Putin se n’è uscito con la sua finta proposta di pace. Irricevibile per chiunque tranne che per la Russia: l’Ucraina si ritira, rinuncia a quattro regioni, non entra nella Nato e l’Occidente toglie tutte le sanzioni. Così come, diciamocelo, è irricevibile per la Russia il «piano Zelensky»: tornare ai confini del 1991 (restituendo quindi anche la Crimea), pagate tutti i danni, noi entriamo nella Nato e nella Ue e ci facciamo proteggere dagli Usa e dal Regno Unito.

Tutti i summit, i vertici, le conferenze e gli incontri che non abbiano come obiettivo superare questo stallo sono inutili. Non serve un G7 per finanziare la resistenza ucraina e non serve una conferenza per dire che invadere u altro Paese è un crimine. Fatti così, questi appuntamenti sono persino dannosi, perché incrementano la tensione e, di fatto, ci avvicinano al punto di non ritorno. Basta guardarsi intorno. Dopo aver invaso l’Ucraina in base alle sue «esigenze di sicurezza», la Russia non è mai stata così insicura, costretta a battersi su un campo di battaglia dove la vittoria è tutt’altro che garantita, e sul fronte economico-finanziario dove, tra inflazione e aumento dei prezzi e delle tasse, deve chiedere sacrifici crescenti ai suoi cittadini. E lo stesso vale per noi: la Nato è all’apice della sua potenza, l’Alleanza non è mai stata così larga e ben sostenuta. Ma ci sentiamo davvero più sicuri di prima? O ci sentivamo più sicuri dieci, venti anni fa? Serve, ovunque, una potente retromarcia. Tra tanti leader zoppicanti ne troveremo uno che abbia il coraggio di ingranarla?

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