Dal Donbass il 20% del Pil: per l’Ucraina è vitale

Le guerre si concludono per due vie: il negoziato o l’arresa di uno dei due contendenti. Nel dibattito pubblico e nei social non è raro ascoltare o leggere chi sostiene la richiesta della resa delle armi agli ucraini: il conflitto cesserebbe e verrebbero salvate molte vite. Una proposta logica ma segnata dall’accettazione di una grande ingiustizia: l’aggredito si consegna all’aggressore, sacrificando territori e diritti.

Mosca insedierebbe a Kiev un governo filorusso e l’Ucraina come Stato sovrano e indipendente, riconosciuto nel 1991 dalla comunità internazionale e dallo stesso Cremlino, cesserebbe di esistere. È per evitare questa prospettiva che gli ucraini combattono ed è a loro che spetta decidere quale strada seguire, continuando a negoziare con gli invasori nei round settimanali. Intanto la battaglia si concentra nel Donbass, dove l’esercito russo ha schierato 10mila soldati, i paramilitari della compagnia privata di ispirazione neonazista Wagner, un battaglione ceceno, mercenari libici e siriani. In quella regione la guerra è in corso dal 2014 e la posta in gioco è altissima. Mosca punta alle ricchezze minerarie della zona e possibilmente anche all’altrettanto prezioso tessuto industriale di tutta la fascia Mariupol-Odessa che cinge la Crimea. Dal Donbass proviene il 90% del gas neon mondiale, base dei chip elettronici. La Iceblick, fondata 32 anni fa a Odessa, produce il 65% di tutto il neon del pianeta ed è fornitrice privilegiata della Silicon Valley. A Donetsk il gruppo australiano European lithium aveva appena chiuso un maxi-contratto di estrazione del litio e la cinese Chengxin stava finalizzando una concessione: tutto si è fermato.

Nella regione si produce anche un acciaio speciale per i carri armati delle forze armate russe e la maggior parte degli elicotteri da combattimento di Mosca. Strettamente connesso alla ricchezza del sottosuolo è lo sviluppo industriale del sud-est ucraino.

Le rocce dell’area, secondo gli esperti del Cnr di Roma che hanno studiato il caso, sono pregiate perché il litio non è contaminato da altri metalli (come zinco, piombo o cadmio) ma ricco di quarzo e silice da vendere all’industria della ceramica. Altre materie rare - cobalto, cromo, tantalio, niobio, berillio, zirconio, scandio, molibdeno - si trovano nel sottosuolo, cruciali per produrre dalle fibre ottiche ai catalizzatori. E poi il 10% delle riserve mondiali di ferro, il 6% di titanio, il 20% di grafite. Il servizio geologico di Kiev stava approntando un programma per attirare 10 miliardi di investimenti. Ma il Donbass è prima di tutto un enorme bacino di carbone, il quarto più grande d’Europa, con riserve estraibili stimate in oltre 10 miliardi di tonnellate. Nella regione si produce anche un acciaio speciale per i carri armati delle forze armate russe e la maggior parte degli elicotteri da combattimento di Mosca. Strettamente connesso alla ricchezza del sottosuolo è lo sviluppo industriale del sud-est ucraino. L’acciaieria simbolo dell’assedio a Mariupol, la Azovstal del gruppo Metinvest, fondata nel 1837 e rilanciata nel 1933, la più grande d’Europa, era un gioiello di tecnologia ed efficienza: vicina alle fonti di approvvigionamento energetico e di materie prime, a fianco del porto commerciale, strategicamente collocata nel cuore del vecchio continente. Un prestigio riconosciuto dalla stessa Russia: ai tempi dell’Urss forniva il 50% dell’acciaio prodotto nel grande Paese. Malgrado si trovi in una terra di tensioni, l’impianto ha fatturato l’anno scorso 2,7 miliardi di euro (il 40% in più dell’Ilva di Taranto).

Per il Paese aggredito la Banca mondiale prevede per quest’anno una perdita del Prodotto interno lordo del 45% e se il conflitto proseguirà ancora un paio di mesi porterà il 70% degli ucraini sotto la soglia di povertà

L’Ucraina è uno dei Paesi più poveri d’Europa ma nel 2021 aveva avuto un rialzo del Prodotto interno lordo di quasi quattro punti. Nel Donbass si produce il 20% del Pil nazionale e circa un quarto del volume delle esportazioni: ecco perché Kiev non può perdere la regione e perché il Cremlino mira a conquistarla, avendo un’economia asfittica ancora molto legata allo Stato: negli ultimi anni il Pil è cresciuto solo dello 0,8%. Per il Paese aggredito la Banca mondiale prevede per quest’anno una perdita del Prodotto interno lordo del 45% e se il conflitto proseguirà ancora un paio di mesi porterà il 70% degli ucraini sotto la soglia di povertà. Dal 24 febbraio scorso, giorno dell’invasione, i poveri sono cresciuti del 61%. Senza calcolare i costi della ricostruzione che in due mesi di battaglie ammontano già a 600 miliardi. L’infamia dell’aggressione (13 milioni di civili sono intrappolati nelle aree degli scontri; 6,5 milioni sono sfollati interni e 5,1 milioni profughi) non provoca solo migliaia di lutti ma sta sprofondando un popolo ferito ma fiero nella miseria. In un mondo giusto andrebbe chiesto a Putin di arrendersi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA