
L'Editoriale
Martedì 25 Marzo 2025
Dai dazi all’Europa il Quirinale risponde
ITALIA. Anche questa volta Sergio Mattarella non le ha mandate a dire. Con il suo tono consueto, calmo, istituzionale e senza far nomi, ha risposto alle parole di Giorgia Meloni sul «Manifesto di Ventotene» e ha attaccato i dazi di Trump.
Quelli che per la premier e FdI erano personaggi della sinistra più faziosa, Mattarella li considera «statisti lungimiranti e coraggiosi» che, nella tempesta della guerra, seppero «mettere insieme il futuro dell’Europa». L’attacco alzo zero a Spinelli, Colorni e Rossi e al loro «Manifesto» è respinto così, con una equiparazione non esplicita ma logica dei tre antifascisti al confino nelle isole ponziane con i grandi europei come Degasperi, Schumann e Adenauer, i democristiani che sono nel pantheon di Mattarella. Poi i dazi: un «pericolo per i liberi mercati e quindi per la pace», un danno per l’Italia e la sua esportazione di prodotti di qualità. Quindi i dazi «sono inaccettabili e dovrebbero essere tali per tutti i Paesi».
Mattarella-Meloni tra reazioni e rappresaglie
Una reprimenda che sicuramente sarà stata notata a Washington e a Bruxelles, soprattutto per quella parte delle parole di Mattarella in cui si legittima la «reazione con determinazione» dell’Unione europea all’offensiva trumpiana. Da notare che la reazione europea che il presidente della Repubblica approva, per Giorgia Meloni è «una rappresaglia», una parola pronunciata in Parlamento che ha fatto il giro dei governi dell’Ue dando il segno dello sfilamento italiano, o quantomeno del suo tentativo di restare in equilibrio fra Trump e l’Europa, operazione che sarà sempre più difficile da compiere e che avrà il suo punto di caduta quando, il 3 aprile, Trump farà sapere chi sarà colpito dai suoi dazi. «Speriamo che prevalga il buon senso», dice Mattarella, ma di sicuro la linea meloniana potrebbe seriamente essere messa in crisi e costringere la premier ad una scelta di campo meno ambigua: o di qua o di là.
Il pensiero di Salvini e le divisioni nella maggioranza
Tantopiù che Matteo Salvini continua a lavorarla ai fianchi con il suo continuo spalleggiare ora Trump, ora Putin, dando del «matto» a Macron e considerando i dazi come «una opportunità» e non, come pensano tutti, come una mezza catastrofe per il nostro export. Ma Salvini, così facendo, dando sportellate a Meloni e a Tajani (che reagisce stizzito: «Sei un quaquaraquà»), provoca una continua divisione della maggioranza e del governo assai pericolosa. Tajani lo ha già detto: «Se continua così, Forza Italia chiede una verifica di governo» che, come noto, è una fase che in genere prefigura una crisi.
Ma andrà davvero a finire così? Certo la sinistra e Conte ci sperano e neanche nascondono la loro ansia di vedere a pezzi il centrodestra, travolto dalle sue stesse logiche e non certo dall’efficacia delle iniziative delle opposizioni. Ma non è detto. È difficile pensare che Salvini arrivi fino in fondo, probabilmente si fermerà un attimo prima della rottura, o meglio un attimo dopo che il congresso della Lega (6 aprile) lo avrà di nuovo acclamato segretario dal momento che i governatori tanto scontenti, mormorano e bofonchiano ma non osano venire allo scoperto contro il capo. Una volta che Salvini si sarà rinsaldato a casa sua, dovrà tornare a patti con i suoi alleati. E per una ragione molto semplice: dove può andare, lontano dalle posizioni di potere che ha conquistato in questi anni nonostante il declino elettorale della sua Lega? E soprattutto, data la legge elettorale che impone le coalizioni, con chi si alleerebbe, Salvini, se davvero si scivolasse verso la crisi di governo e le elezioni anticipate?
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