Da Mattarella lezione di civismo

ITALIA. È stato, ancora una volta, un compendio di alto civismo il discorso di Sergio Mattarella, ieri alla cerimonia di consegna del «Ventaglio» da parte dell’Associazione stampa parlamentare.

Se in giro per il mondo ci sono «molti apprendisti stregoni, incauti nel maneggiare, pericolosamente, gli strumenti che generano odio e violenza», da noi c’è una questione aperta. Quella della libertà di opinione, tema approfondito dal presidente della Repubblica richiamandosi all’articolo 21 della Costituzione, il cui incipit dice: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». Mattarella usa parole chiare e dirette senza sfumature, non ci gira attorno quando cita la recente aggressione a un cronista, a Torino, da parte di estremisti di destra, ultimo episodio di una serie di contestazioni e intimidazioni alla categoria.

I giornalisti, nel documentare i fatti, esercitano una funzione di carattere costituzionale, con un ruolo democratico decisivo. L’informazione è esattamente questo, spiega il Capo dello Stato, come stava facendo il cronista de «la Stampa»: «Documentazione di ciò che avviene, senza obbligo di sconti». Quindi secondo logica: «Ogni atto rivolto contro la libera informazione, ogni sua riduzione a fake news, è un atto eversivo rivolto contro la Repubblica». L’aggettivo «eversivo» (preso alla lettera significa un’azione volta a sconvolgere l’assetto sociale e statale) è coerente con il peso che l’informazione ha nelle società che ormai si definiscono mediatiche, destinatarie di flussi comunicativi a getto continuo: diritti, riuniti nella libertà d’informazione e di critica, ma anche doveri a partire dal costituire un «anticorpo contro le adulterazioni della realtà», con l’obbligo inderogabile del rispetto sostanziale dei fatti. Il monito del presidente, insieme all’allarme per la vergognosa condizione delle carceri, giunge in un periodo in cui lo stato dell’arte italiano, cioè l’indipendenza del giornalismo in particolare quello televisivo, è sotto osservazione delle istituzioni europee. L’eurocommissario alla Giustizia ha sollecitato l’attenzione delle nostre autorità sul finanziamento Rai in un contesto continentale segnato da una libertà di stampa sempre più in pericolo. Balza all’occhio la puntuale linearità lessicale di Mattarella, mentre la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa, proprio sul pestaggio di Torino è scivolato su impropri (chiamiamoli così) distinguo sia pure dopo la rituale condanna della violenza.

Il tormento del Capo dello Stato insiste su un aspetto inquietante, il diffondersi di una subcultura che s’ispira all’odio e di cui è parte anche l’antisemitismo: in questi giorni è rimasto vittima Trump, ieri lo slovacco Fico e l’ex sindaca di Berlino. E qui Mattarella, riferito alla «sindaca», chiosa con garbo: «Spero si possa ancora dire», alludendo alla proposta della Lega, poi ritirata, che avrebbe voluto vietare il genere femminile negli atti pubblici. Il presidente, come sempre, guarda l’Italia e il mondo, osservandoli in prospettiva e Costituzione alla mano, quel testo che ha generato la Repubblica democratica e che ha fatto crescere l’Italia e il suo prestigio nelle relazioni internazionali. Ecco quindi l’omaggio a Biden e, da atlantista di lungo corso, rileva come la Russia, invadendo l’Ucraina, abbia regalato «un rilancio imprevedibile di ruolo e di protagonismo» alla Nato contrariamente a chi ne aveva decretato anzitempo la morte cerebrale. Esplicito anche sulle colpe di chi ci sta conducendo al riarmo: «Ma chi ne ha la responsabilità? Chi difende la propria libertà - e chi l’aiuta a difenderla - o chi aggredisce la libertà altrui?». In una fase in cui il problema dell’età è entrato con prepotenza a influenzare le alchimie politiche e la selezione dei leader, Marzio Breda, il più autorevole dei quirinalisti, ha precisato che Mattarella, con i suoi 83 anni appena compiuti, di sicuro non è ancora bisognoso dei geriatri e il compleanno lo vede «senza defaillance e spesso con i bioritmi alle stelle». Lo testimonia il suo attivismo. Il 26 è atteso a Parigi per l’inaugurazione della Olimpiade, dopo il tour de force del viaggio a Brasilia, Porto Alegre, San Paolo, Rio de Janeiro, Salvador: cinque tappe in una settimana, sei voli, cinque ore di fuso orario.

L’arbitro, il «Maestro di bella politica», come l’ha definito la conduttrice tv Paola Severini Melograni su «Avvenire», ogni giorno lavora con l’idea che le istituzioni sono il limite frapposto alle conquiste altrui e che lo Stato deve ergersi al di sopra, e al di fuori, della contesa tra le parti. La fatica della democrazia quale progresso senza avventure. La convivenza civile quale convinzione e costume di un popolo. «Ogni giorno è necessario riconquistare la democrazia, dentro di noi contro ogni senso di violenza, fuori di noi con l’esperienza della libertà»: così affermava De Gasperi nel 1947, così si dispiega la pedagogia di Mattarella. Non perdiamolo di vista e teniamocelo stretto.

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