L'Editoriale
Domenica 26 Giugno 2022
Curare la famiglia fa bene al pianeta
Accade ormai da molti anni e la pandemia ( e ora la guerra) hanno reso tutto molto più difficile. Per le famiglie italiane il percorso è come sempre ad ostacoli e quelle che hanno figli sono più esposte alla povertà. Lo spiegano tutti gli indicatori, da quelli primari elaborati dall’Istat a quelli più specifici forniti da centri studi e associazioni spesso legate alle realtà della Chiesa cattolica. Ma l’allarme ripetutamente suonato non viene quasi mai considerato nella sua tragica globalità.
La società si adatta con scelte di tendenza che hanno una ripercussione drammatica sul futuro del Paese, una sorta di accettazione di un destino ineluttabile, che va sotto il nome di denatalità, parola che dovrebbe spaventare tutti e non solo chi si occupa di pensioni. La Chiesa da anni ha messo in guardia la società e le istituzioni sul processo di avvitamento verso il basso che la denatalità innesca rendendo più precaria non solo l’economia, ma la stessa democrazia. Nel X Incontro mondiale delle famiglie, che si è chiuso ieri sera in Vaticano, ha riportato all’attenzione di tutti una questione complessa che compromette il futuro delle società e anche della comunità ecclesiale. Giovanni Paolo II una volta spiegò che se sta bene la famiglia, sta bene anche la comunità. Vale per tutti, ma pochi se ne avvedono e così la possibilità di invertire il trend è sempre più difficile.
Per la prima volta nella storia della Repubblica l’anno scorso le nascite si sono fermate sotto quota 400 mila. E se nel 2009 erano 2 milioni e 800 mila le famiglie che avevano un figlio con meno di 5 anni l’anno scorso il dato è calato di 600 mila unità, cioè il 20 per cento, mentre è aumentato sensibilmente il numero delle famiglie che ha a carico un figlio adulto. Dopo la crisi del 2008 la curva ha continuato a puntare verso il basso e non si riprende. Così le famiglie hanno scelto la strada più diretta per compensare i guai, perché è evidente che un figlio in più o anche solo un figlio per molti significa finire nel baratro della povertà.
Il governo per la prima volta ha messo in campo una strategia, preoccupato del fatto che il Paese ha smesso di crescere. C’è il Family Act e l’assegno unico per i figli, strumento da perfezionare, ma dal grande valore politico per la sua universalità, nel senso che una quota va a tutti, perché per la prima volta i figli sono considerati un bene pubblico. È dunque sbagliato derubricare la questione della natalità a scelte private insindacabili. Così come è sbagliato ritenere la famiglia una questione di cui solo la Chiesa debba occuparsi. Di famiglia si parla nel Vangelo e nella Costituzione. La Chiesa insegna che la bellezza della famiglia sta nel passaggio dall’ «io» al «noi», perché è il luogo dove si intrecciano legami, si impara a costruire una comunità con pazienza, gesti di cura, confronto tra generi e generazioni.
Non è anche questa la strada di una pedagogia laica sulla famiglia, luogo primario dove apprendere come allargare le solidarietà ad un contesto civile e sociale più ampio? La cura della famiglia e delle sue relazioni interne ed esterne è un compito essenziale e cruciale per contrastare il dramma degli abusi, del femminicidio, per cambiare stili di vita, imparare a consumare in modo più responsabile, insomma per salvare il pianeta. Ma senza figli ogni azione pubblica è compromessa.
Prendiamo il debito: se non aumenta i Pil il debito diventerà insostenibile. E come può l’Italia crescere se diminuisce la sua popolazione? Le famiglie sono state in prima linea durante la pandemia. Hanno resistito a denti stretti ma con moltissimi problemi, perché l’isolamento ha amplificato sofferenze di relazione già presenti e ha aumentato, tanto per cambiare, il peso sulle donne. Ma la pandemia potrebbe essere un’opportunità, come ha detto più volte il Papa, per non lasciare le cose come stanno e contrastare l’idea dell’ineluttabilità del destino e il senso di impotenza e rassegnazione. L’Incontro mondiale delle famiglie serve a tener viva la riflessione, perché la denatalità è un problema globale, che non può scivolare sistematicamente ai margini del dibattito pubblico, ripreso per i capelli solo in vista delle elezioni, grandi promesse alla ricerca di un grande consenso.
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