L'Editoriale
Giovedì 31 Ottobre 2024
Culle vuote, occorre ridare la speranza
ITALIA. Un Paese senza bambini è un Paese senza futuro. Una «banalità» che saprebbero anche i bambini, se ci fossero.
Quello della denatalità è un tema che ciclicamente campeggia sulle prime pagine dei giornali, in particolare quando l’Istat - come avvenuto l’altra settimana – rende noto l’andamento demografico del nostro Paese, scatenando un interminabile dibattito politico, spesso inutilmente polemico, e costringendo i governi di turno ad occuparsene nella «Finanziaria» del momento. Lo stesso ha fatto anche quello della presidente Meloni (certo ricorderete tutti il mantra «Sono Giorgia, sono una donna, sono una madre…»), che ha introdotto nella manovra alcune «migliorie», tra cui anche una «Carta per i nuovi nati» che riconosce ben 1.000 euro (!) ai genitori con un Isee entro i 40 mila euro. Considerando che mantenere un figlio costa almeno tra gli 8 e i 10mila euro l’anno, ci troviamo di fronte ad una cifra da capogiro, che certamente sarà in grado di convincere a procreare anche le coppie più restie a farlo.
Un problema europeo
Al di là di tutto, comunque, il problema è drammaticamente serio, per le infinite ricadute che l’assenza di giovani generazioni provoca nella stabilità di una nazione. Un problema non solo italiano, ma europeo, anche se altri Paesi dell’Unione – Francia in primis – hanno politiche familiari davvero degne di questo nome. Nel 2022 in Europa sono nati 3,88 milioni di bambini, il numero più basso mai registrato dal 1960 ad oggi, tenendo conto che nel decennio tra il 1960 e il 1970 si sfioravano i 7 milioni di neonati l’anno. Mentre nel resto del mondo il tasso di fertilità (estremizzando, il numero medio di figli per ogni donna di età compresa tra i 15 e i 49 anni) è di 2.27 (nel 2022), in Europa siano ormai fermi all’1.46, un dato medio più alto di quello dell’Italia, che invece fa parte dei tre Paesi con il tasso di fertilità più basso di tutti: noi siano fermi a 1.24 (ma nei primi 7 mesi di quest’anno siamo già scesi a 1.21), la Spagna a 1.16, Malta a 1.08.
Il nodo del lavoro e delle pensioni
L’aspetto più rilevante che tutti tendono a sottolineare di fronte a questa triste realtà è quello economico, legato soprattutto al nodo del lavoro e delle pensioni, in stretta correlazione tra loro, e alla necessità di inserire in questo inscindibile binomio anche il tema dell’immigrazione. «Nessun sistema pensionistico – ha detto non più tardi di qualche settimana fa il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti – può essere sostenibile in quadro demografico come quello attuale».
Una scelta irreversibile
Ma siamo sicuri che sia solo questo o - meglio - soprattutto questo il problema? È così vero che in Italia le nascite sono drasticamente diminuite «soltanto» perché - dagli anni ’90 ad oggi, periodo in cui i (pochi) nati della recessione demografica tra 1980 e il 2003 sono diventati adulti - sono diminuite numericamente le persone in grado di mettere al mondo dei figli? È così vero che i giovani italiani vorrebbero tanto avere dei figli ma in assenza di un adeguato «ecosistema» sociale preferiscono rinviare la scelta «sine die», finendo spesso col rinunciarvi? Non può essere che tra le cause del non voler far figli ci sia anche qualcosa di più profondo, di più radicale, come il fatto che diventare genitore sia una scelta irreversibile? In un mondo dove, al contrario, le scelte reversibili sono le più gettonate? Smetto di studiare e mi metto a lavorare ma se non mi piace torno a studiare; esco dalla casa di mamma e papà, ma se le cose vanno male posso tornare senza problemi perché sarò accolto a braccia aperte; vado a convivere ma se poi non va così bene come pensavo, torno single o ne cerco un’altra/o sperando di aver più fortuna, e via di questo passo.
Ma se decido di diventare genitore, lo sarò per sempre, in un modo o in un altro, e in una società complessa come la nostra, questa può esser una prospettiva che fa paura, che azzera entusiasmi e prospettive, che annulla la voglia di dare alla luce dei figli. Che allontana dalle responsabilità. Senza contare che tra le grandi vere crisi di oggi c’è anche quella della tenuta del legame, affettivo, relazionale, sociale che sia.
Ma se decido di diventare genitore, lo sarò per sempre, in un modo o in un altro, e in una società complessa come la nostra, questa può esser una prospettiva che fa paura, che azzera entusiasmi e prospettive, che annulla la voglia di dare alla luce dei figli. Che allontana dalle responsabilità. Senza contare che tra le grandi vere crisi di oggi c’è anche quella della tenuta del legame, affettivo, relazionale, sociale che sia.
Colpa delle giovani generazioni? Troppo facile addossare sulle loro spalle un peso così grande, dimenticandoci delle nostre colpe, facendo finta di ignorare che siamo stati noi a plasmare quella società che oggi costringe i giovani a scelte difficili e poco lungimiranti, per sé stessi e per il Paese, come appunto quella di non voler far figli. Viviamo in una società votata al narcisismo e all’egoismo patologico, che noi abbiamo scelto come modello, non i nostri giovani. Viviamo in una società fatta da single o da coppie che appaiono come due single accoppiati, e dove per ogni passeggino ci sono almeno dieci guinzagli (e il cane, meglio se piccolo, ben custodito nella borsetta o stretto dentro un cappottino di cashmere, mica che prenda freddo, che arriva la brutta stagione…).
L’idea di famiglia
È l’idea di famiglia che noi abbiamo cancellato dal nostro vocabolario del vivere quotidiano, e se l’immagine che di essa si sono fatti i nostri figli non è tra le cose più edificanti e desiderose di essere replicate la colpa è solo nostra. Non loro. La questione della denatalità, dunque, non è soltanto politico-economica, ma anche, se non soprattutto, culturale. E dietro le «culle vuote» non c’è solamente un’idea altra di famiglia, non c’è soltanto lo sbriciolamento dell’idea tradizionale di famiglia, peraltro sancita anche dalla nostra Costituzione, ma c’è una visione altra dell’uomo o dell’umano, di cui il narcisismo e l’egoismo sono la cartina di tornasole. È una questione antropologica, prima ancora che etica.
Il valore della relazione
Si è detto che la struttura sociale italiana è inospitale ad accogliere i figli, ma il fatto che non vi sia una vera ribellione per la mancanza di un welfare votato al sostegno della famiglia non vuol dire che siamo ormai rassegnati all’idea che sia così, ma che abbiano imparato a fare a meno della famiglia, scegliendo l’egoismo, convinti di farcela a soli. Uno sbaglio colossale perché è solo stando insieme che si entra in relazione, che si dà nerbo a un tessuto sociale sfibrato e senza futuro. In poco più di trent’anni abbiamo sbriciolato la sacralità della famiglia e dei figli, considerati l’architrave a cui agganciar l’esistenza e traghettare l’idea di un futuro condiviso.
Ed è proprio la libertà sganciata da ogni responsabilità su cui oggi basiamo la nostra vita a creare un incredibile paradosso sulla famiglia
Ed è proprio la libertà sganciata da ogni responsabilità su cui oggi basiamo la nostra vita a creare un incredibile paradosso sulla famiglia. Sebbene sia l’unica istituzione a plasmare il carattere di ogni uomo (proclamata dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, promulgata dalle Nazioni Unite nel 1948, come «l’unità fondamentale della società»), oggi la famiglia tradizionale non è più di moda (basti pensare che i figli nati al di fuori del matrimonio sono il 42,4% del totale, dato in continua crescita, pur se in misura inferiore rispetto al passato). «Vediamo nuove configurazioni relazionali di coppie dello stesso sesso che accolgono bambini con l’aiuto di madri surrogate o padri donatori di sperma. Nonostante forzino alcuni confini morali importanti, queste “famiglie” alternative sono tanto modellate sulla famiglia tradizionale che, paradossalmente, attestano la nostra nostalgia per il modello familiare tradizionale» (Thomas G. Casey - La Civiltà Cattolica).
Un cantiere di speranza
Non basta, dunque, stanziare qualche centinaio di milioni nella «Finanziaria» per rendere appetibile l’idea di diventare mamma o papà. C’è bisogno - anche o soprattutto - di far riscoprire ai nostri giovani il gusto di una vita senza paura, da affrontare a viso aperto, sapendo che la famiglia è un cantiere di speranza dove la vita si mostra nella sua piena forza. Una forza che si comprende appieno - come dice Papa Francesco - solamente donando la vita a qualcun altro. Un figlio nato, uno adottato, o uno incontrato e accolto.
Alla fine, forse, non è poi così vero che l’Italia è un Paese poco fertile. Forse è solamente coltivato male. Un peccato, perché - come scrive il grande drammaturgo irlandese George Bernard Shaw – «la vita è una fiamma che via via si consuma, ma che riprende fuoco ogni volta che nasce un bambino». Solo così non si spegnerà mai.
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