Crisi globale da Est a Ovest, senza più vie di mezzo

IL COMMENTO. Scriviamo da molto tempo che l’invasione russa dell’Ucraina ha aperto una crisi non regionale e nemmeno continentale ma globale. Del resto lo stesso Vladimir Putin confessa che la guerra contro l’Ucraina in sostanza è una guerra contro gli equilibri ereditati dalla Seconda Guerra Mondiale e contro il «secolo americano». L’inizio delle ostilità è stato come un gong: ha segnalato al mondo l’inizio di una fase turbolenta e crudele ma nuova.

Che di vero riassetto si tratti, o solo di uno spasmo violento, poco importa. È più che bastato a far cadere molti scrupoli e sollecitare nuove ambizioni. Nell’ultimo anno abbiamo assistito all’allargamento dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (l’Iran si è aggiunto a Cina, Russia, India, Pakistan, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan), versione 2.0 dei vecchi «Paesi non allineati» di un tempo. E alla crescita esponenziale delle pretese dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), che non solo diventano più numerosi (nel 2023 potrebbero raddoppiare: Argentina e Iran hanno chiesto di aderirvi, Egitto, Arabia Saudita e Turchia sono sulla strada) ma si fanno più audaci: in agosto si ritroveranno in Sudafrica con l’intento di istituire una valuta comune e alternativa al dollaro.

Come si vede, si muovono in modo almeno insolito Paesi che vantano antichi legami con gli Usa, dalla Turchia, pilastro della Nato, all’Arabia Saudita, con i relativi effetti: i sauditi rischiano di portare con sé le petromonarchie del Golfo Persico, la Turchia l’Azerbaigian e le nazioni dell’Asia Centrale. Di tutto questo c’è un solo Paese capace e voglioso di approfittare: la Cina. Lo scossone globale generato dalle guerre russe è musica per le orecchie di Xi Jinping. Pechino vede aprirsi nuovi spazi e sente odore di conquista: ha mediato la pace tra Arabia Saudita e Iran (a proposito di effetti a catena: i sauditi hanno ripreso le relazioni con il siriano Bashar al-Assad, pupillo di Mosca e Teheran, e stanno per proporre il rientro della Siria nella Lega Araba; nello Yemen si parla di tregua tra la coalizione militare a guida saudita e i ribelli houthi appoggiati da Teheran), ha proposto un piano di pace tra Russia e Ucraina e si fa sempre più aggressiva nei confronti di Taiwan. In più, vede crescere di giorno in giorno il ruolo dello yuan. È già la valuta più trattata in Russia, e si capisce perché. Ma crescono i patteggiamenti per futuri pagamenti in yuan, soprattutto nel settore energetico, dove il dominio del dollaro è totale da quasi un secolo e mezzo.

È la fine del mondo americanocentrico che abbiamo fin qui conosciuto? La globalizzazione cambia verso? Certo che no. Però il processo è solo agli inizi e il mondo gira in fretta. Qualcuno ricorda com’era la Cina solo trent’anni fa? Tra i Paesi che si sono messi in moto c’è anche la Francia di Emmanuel Macron. Le sue ultime sortite (in sostanza: l’Europa non diventi un vassallo degli Usa e non si infili in una crisi non sua come quella di Taiwan) sono discusse in tutte le capitali e l’hanno portato sulla graticola, accusato di tradire la causa dell’Occidente liberal-democratico per un flirt con l’asse delle autocrazie russa e cinese. Il presidente francese nell’ambiguità ci sguazza. Ha cercato fino all’ultimo un dialogo con Putin e si è allineato con fatica all’idea di una guerra a oltranza in Ucraina. Non stupisce: Macron sa benissimo che quella linea premia Paesi come Polonia, Baltici e Nord Europa (oltre che il Regno Unito, vecchio rivale) che non vedono l’ora di archiviare l’asse franco-tedesco che ha dominato la Ue per lungo tempo. D’altra parte Macron era quello che anni fa dichiarava la Nato «in morte cerebrale» e voleva l’esercito europeo, cosa di cui l’Est europeo (e ovviamente gli Usa) non vuole nemmeno sentir parlare.

Il punto vero è che la crisi globale sta piallando le posizioni intermedie. O di qua o di là. Di qua, con la guida Usa, la Francia diventa un Paese come tanti. Di là, cioè a trattare con Russia e Cina, può ancora coltivare un’illusione di grandeur. E poi, come si dice, il denaro non puzza. Nella recente trasferta in Cina, Macron ha portato con sé 50 grandi imprenditori. A buon intenditor…

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