Crisi afghana se per l’Italia
il problema è chi fugge

Le immagini del ministro degli Esteri Luigi Di Maio in spiaggia mentre in Afghanistan si consuma la tragedia di un popolo sono emblematiche di un certo atteggiamento della nostra politica nei confronti di quel che sta avvenendo. Solo emblematiche, perché immagino che dopo quello scatto il ministro avrà lasciato il bagnasciuga e si sarà rivestito per dirigersi alla Farnesina per coordinare le operazioni di rimpatrio degli italiani e dei loro collaboratori afghani. Abbiamo preso in prestito questa immagine perché quello che vogliamo sottolineare è la sterilità di una politica - da sinistra a destra - «da spiaggia» che cerca di attirare consenso («i rifugiati li vogliamo-no, i rifugiati non li vogliamo») su questioni che non dovrebbero nemmeno esistere in uno Stato di diritto.

Basterebbe leggere l’articolo 10 della nostra Carta («lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge»), uno di quegli articoli che non può essere modificato nemmeno da una legge costituzionale perché fissa i valori-pilastro su cui si poggia la nostra Repubblica. Uno di questi pilastri è appunto la solidarietà. E invece siamo qui a discutere se possiamo accoglierli tutti o no, come se si trattasse di «vu cumprà». Fingiamo di non capire che in questa Terza guerra mondiale a pezzetti, finchè ci saranno le guerre, ci saranno anche colonne di profughi e di rifugiati politici che attraversano i deserti e che al loro posto potremmo esserci noi.

Quello dell’Afghanistan non è un dramma dell’altro ieri, si è solo aggravato. Molti afghani sono già fuggiti dal proprio Paese, portandosi con sé il terrore, la fame e l’angoscia per i parenti lasciati in condizioni precarie, soprattutto nei villaggi, nelle zone dove già operavano gli «studenti coranici». Ora, certo, anche a Kabul. I giornali sono pieni di dichiarazioni e interviste di povera gente che ha ottenuto il diritto d’asilo in Italia e che teme per le proprie famiglie nei luoghi d’origine, per le figlie costrette a chiudersi in casa e non andare più a scuola, terrorizzate dal fatto che rischiano di finire come spose bambine nelle mani di qualche talebano o per i figli che potrebbero essere oggetto di rappresaglia o leva obbligatoria.

Solo in Italia la comunità afghana è formata da 15 mila persone. Di questi, mille sono sbarcati lo scorso anno, altrettanti nel 2021; alcuni sono stati accolti, molti di loro hanno continuato il viaggio in Europa, altri ancora sono stati respinti nei campi e nell’universo concentrazionario delle carceri libiche, dove vengono rinchiusi e seviziati gli immigrati che abbiamo rimandato indietro come la polvere che si nasconde sotto il tappeto. Naturalmente il dramma di queste ore dell’Afghanistan ripropone un’azione comune europea nel Mediterraneo che unisca ai legittimi controlli il salvataggio, il riconoscimento e la tutela di coloro che hanno diritto a una protezione internazionale e la loro accoglienza in tutti i Paesi membri, come ha giustamente detto il presidente della Fondazione Migrantes monsignor Perego.

È chiaro che di fronte agli sconvolgimenti di questa vicenda, che ha messo in luce tutto il fallimento geopolitico dell’Occidente nel gestire le aree di crisi, sarà necessario cambiare molte regole. Una di queste è il ricongiungimento familiare, più che mai urgente e soggetto alle estenuanti, spesso impossibili, procedure burocratiche vigenti, che sembrano fatte più per scoraggiare le unioni familiari che per favorirle.

In Afghanistan ci sono donne, bambini, anziani e disabili che non possono nemmeno mettersi in fuga e in cammino popolando quelle enormi colonne che fanno venire in mente l’esodo biblico. Hanno bisogno da subito di un ponte aereo e di corridoi umanitari che possano dare accoglienza e sicurezza in uno dei Paesi dell’Occidente che fino ad ora erano stati presenti in Afghanistan, da quel che si è capito (ce lo ha ricordato Biden) esclusivamente per tenere lontano il terrorismo da casa nostra che per portare pace e serenità in un Paese tormentato da secoli nel Grande Gioco delle potenze internazionali. Il risultato è stato che la pace non è mai arrivata e il terrorismo continua a tormentare il Pianeta a livello globale come un incubo ricorrente. E c’è da scommettere che in avvenire sarà peggio, a meno di non credere alle furbe dissimulazioni pseudo moderate dei Talebani, i figli di coloro che avevano in casa Al Qaeda e Bin Laden.

© RIPRODUZIONE RISERVATA