Crimini di guerra conferma e obiettivi

Parafrasando una citazione contenuta sia nella Bibbia che nel Talmud («Chi salva una vita salva il mondo intero»), possiamo dire «chi uccide una persona uccide il mondo intero». La civiltà si regge infatti su un presupposto umano: nessuna esistenza è nella disponibilità di qualcuno. Se questo principio venisse rispettato e difeso, il mondo sarebbe un luogo decisamente migliore e non quella selva dove vige ancora la norma dell’«homo homini lupus», anche attraverso una sempre più diffusa aggressività verbale, spesso preludio di quella fisica. Ieri al tribunale di Kiev si è aperto il primo processo per crimini di guerra dall’inizio dell’invasione russa, ormai quasi tre mesi fa.

Il soldato originario della Siberia Vadim Shishimarin, 21 anni, alla domanda se fosse colpevole dei reati di crimini di guerra e omicidio premeditato, ha risposto «sì». Il sergente era comparso in aula la prima volta il 13 maggio scorso per l’udienza preliminare, con l’accusa di aver ucciso un uomo di 62 anni nel nord-est dell’Ucraina il 28 febbraio. Rischia l’ergastolo. Secondo gli inquirenti Shishimarin era a capo di un’unità su una divisione di carri armati quando il convoglio è stato attaccato. Lui e altri 4 soldati hanno rubato una macchina e, mentre viaggiavano vicino al villaggio di Shupakhivka, nella regione di Sumy, tra le più colpite dalla guerra, avrebbero incontrato la vittima su una bici. «Uno dei militari ha ordinato all’accusato di uccidere il civile perché non li denunciasse», ha spiegato il Procuratore. Il sergente ha fatto fuoco con un Kalashnikov dal finestrino del veicolo e «l’uomo - aggiunge l’accusa - è morto all’istante, poche decine di metri da casa sua».

Si tratta di un crimine di guerra perché è un omicidio deliberato, non una morte come conseguenza non cercata di un’azione bellica: anche i conflitti hanno infatti i loro codici di comportamento, scritti nel diritto umanitario internazionale. Attualmente sono 9mila le denunce al tribunale di Kiev per crimini di guerra compiuti da soldati russi.Il processo a Shishimarin è una sorta di test per il sistema giudiziario ucraino, in un momento in cui anche le istituzioni internazionali stanno conducendo indagini sugli abusi commessi dagli occupanti. L’eccidio di Bucha è la pagina più nera, uno spartiacque del conflitto: a fine marzo nella cittadina furono uccise 410 persone, i corpi per la maggior rinvenuti in fosse comuni con evidenti segni di torture. Recentemente l’arcivescovo maggiore di Kiev, monsignor Sviatoslav Shevchuk, ha denunciato il rinvenimento di un’altra fossa comune «con quasi 500 persone con le mani legate e con una pallottola nella testa». Tra le istituzioni che indagano su questi fatti orrendi c’è anche la Corte penale internazionale dell’Aja, di cui non fanno parte la Russia, gli Stati Uniti e la stessa Ucraina che però ne ha accettata la giurisdizione.

Anche l’esercito ucraino si è macchiato di crimini di guerra ma il dibattito pubblico non fa giustizia delle proporzioni: sotto accusa gli spari alle gambe di militari russi catturati (c’è un filmato inequivocabile su questa agghiacciante vicenda) e il possibile utilizzo di scudi umani da parte del battaglione Azov asserragliato nell’acciaieria Azovstal di Metrupol. Il governo di Kiev ha promesso di fare chiarezza: speriamo. L’invasione si è contraddistinta da subito come conflitto contro i civili, devastando villaggi e città, ospedali e scuole che non sono obiettivi militari. Lo scopo è ripulire i territori di presenze considerate «estranee» per annetterli alla Federazione russa. Il numero spropositato di profughi e di sfollati ucraini già nei primi giorni (metà della popolazione residente scappata) ne è un’ulteriore conferma. L’umanità ancora una volta dà pessima prova di sè, comunque finisca l’ennesima guerra.

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