Crescita e debito, ci resta l’europa

ITALIA. La prova della verità di una legge di bilancio sta in alcuni indicatori chiave: la presenza/assenza di scelte per la crescita, e la questione debito.

Nel Nadef 2023 non vanno bene entrambi. Sta per essere sfondato il tetto dei 3mila miliardi complessivi di debito, poco meno dell’intero prodotto del Regno Unito, il 30% in più di quello spagnolo. La «derelitta» Grecia sta per sorpassarci al ribasso e il suo spread è infatti a 143, mentre noi saliamo a 200.

Nel post pandemia il rapporto debito/Pil è sceso con Draghi dal 147,1 del 2021 al 141,7 del 2022, ma in mezzo c’è stato l’effetto Giuseppe Conte, unico nella storia italiana autorizzato alla mano libera. Ne ha profittato per usare «gratuitamente» un bancomat sempre aperto. E dunque gran festa di bonus. Un suo ministro, Giovanni Tria, ha definito il superbonus «eversivo e criminale». Esagerato, ma significativo. Quando è arr ivato il governo Meloni la previsione generale era quella di uno sfracello, perché bisognava tornare alla realtà e si pensava che l’Europa sarebbe stata matrigna. Per molti mesi, per fortuna e merito politico, è andata invece diversamente. Notevole la capacità di rinunciare al programma elettorale (con la Lega restata con in mano solo i suoi tweet mirabolanti) tranquillizzando i mercati con la continuità sia in economia che in politica estera. Al resto hanno provveduto la straordinaria flessibilità dell’apparato produttivo e del terziario italiano, la molla dell’export, la spinta del turismo. A cavallo tra Draghi e Meloni, una doppietta: +8,3 e +3,7%, altro che lo zero virgola a cui stiamo tornando.

Il vento è poi cambiato, la ripresa ha rallentato e un Paese indebitato paga dazio. Unico segnale ancora molto buono è quello dell’occupazione (+523mila posti), rendendo surreale la protesta Cgil e la conversione ad «u» del Pd che, con il suo jobs act, che ora vuole abrogare, aveva contribuito alla crescita del lavoro stabile. Quando l’acqua si abbassa, vengono allo scoperto le magagne. Finiti i regali, la Bce alza il costo del denaro più volte: dai tassi negativi al +4,5%. Lo Stato quest’anno dovrà sborsare 90 miliardi di interessi, da sommare ai 100 dell’evasione fiscale per pensare quante cose si potrebbero fare senza questi fardelli. E così il governo ha dovuto già arrendersi, perché i 14 nuovi miliardi della sua piccola manovra imminente saranno nuovo debito, facendo salire al 4,3% l’indicatore che per Maastricht dovrebbe essere al 3% e che cinque mesi fa Giorgetti aveva programmato al 3,7. Un guaio, perché non c’è più l’unico dato buono del passato, l’avanzo primario (entrate contro spese senza calcolare gli interessi).

Cosa fa allora il Nadef, pressato dalla propaganda pre elettorale? Imbalsama il debito, con un simbolico -0,2% all’anno. Peccato che anche quell’inezia sia una pia illusione, perché fondata su due elementi traballanti. Il primo: privatizzazioni per 20 miliardi. Ma dove stanno? Solo Mps sembra vendibile, ma vale 2 miliardi. In compenso, si vuole spendere altrettanto per nazionalizzare la rete Tim, anche se i francesi proprietari alzano il prezzo. Tutti i governi, Monti e Draghi compresi, hanno messo in conto le vendite dei gioielli di famiglia ma, da sei anni, introiti da privatizzazioni: zero.

L’altro presunto pilastro sarebbe la crescita, che, facendo salire il numeratore, è la vera nemica strutturale del debito, ma si parla per il 2023 di un +1,2, cui nessuno crede (sarà 0,7/0,8). E soprattutto mancano le scelte. Ci sarebbe solo il ponte di Messina, ma anche lì non c’è una lira. Si parla tanto in tv di spese e sostegni, ma andrà già bene se ci saranno soldi sul cuneo fiscale (mangiati da inflazione e interessi). Niente su accise, Irpef e «fantasy» varie, come dice l’«Economist».

Il taglio alla sanità sta diventando un problema molto grosso. Necessari almeno 4 miliardi in più, dice il ministro per respingere i tagli. In tutto questo, che fine ha fatto il Pnrr, che doveva sostenere il Pil per un 2% ed è in ritardo per 28 miliardi? E che ne sarà del Mes che a quest’ora ci avrebbe già salvato almeno dalle liste d’attesa indecorose in ospedale? Critichiamo spocchiosi l’Europa, ma solo i suoi soldi possono (forse) salvarci.

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