Cresce lo smart working
Da casa guadagnano
sia aziende sia dipendenti

Pensare di poter oggi non solo comunicare, ma addirittura «vedere» in tempo reale ciò che magari nostro figlio sta facendo in Australia, negli Stati Uniti o a Singapore è uno dei tanti positivi effetti della rivoluzione digitale in atto. Ne sanno qualcosa le moltissime persone presenti nel nostro Paese, provenienti da luoghi del pianeta assai più disagiati. Due, tre anni senza potersi vedere con figli e parenti rimasti a casa ad attendere i loro guadagni per andare avanti. Un arco temporale reso un po’ meno drammatico solo grazie alla tecnologia che consente, ad esempio, a una mamma bielorussa o filippina di poter comunque assistere in parte alla crescita della propria figlia distante migliaia di chilometri, potendole addirittura dare consigli di pettinature e offrire lacrime di gioia per un bel voto scolastico: il tutto, assolutamente in tempo reale.

E il mondo del lavoro? Ovviamente, nessun’azienda adeguatamente strutturata avrebbe potuto ignorare tali epocali mutazioni sociali figlie delle nuove, inarrestabili frontiere tecnologiche. Va poi tenuto conto che la globalizzazione propone sempre più scenari produttivi dominati da multinazionali e gruppi multidisciplinari, con quartieri generali e sedi operative dislocati in ogni angolo di mondo in cui convenga delocalizzare alcuni «asset» capaci di generare economie di scala e di scopo. Ecco, allora, che persino il tessuto industriale di casa nostra, sempre un po’ più restio rispetto a quello di matrice anglosassone ad approcci manageriali pioneristici, ha ormai aderito con convinzione e fiducia allo «smart working». Offrire, cioè, ai dipendenti la possibilità, con le dovute preventive analisi di fattibilità mansione per mansione, di poter lavorare alcuni giorni del mese da casa o, comunque, da strutture adibite ad hoc a corto raggio rispetto al comune di residenza del lavoratore. Il quadro normativo di riferimento è la legge 81/2017, il Jobs Act . A fine ottobre 2018, l’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano ha presentato alcuni dati interessanti. Risulta che in Italia il 58% delle aziende medie grandi abbia già introdotto iniziative concrete di smart working e che ci siano circa 480.000 smart worker, con una crescita del 20% rispetto al 2017. Un’autentica rivoluzione nel campo sia gestionale che della vera e propria sociologia del lavoro, che sta coinvolgendo anche la Pubblica amministrazione con oltre 4 mila dipendenti pubblici che operano in remoto.

Quella che sembrerebbe solo una scelta aziendale al passo con i tempi, anche in virtù di una sempre più estrema attenzione al contenimento dei costi, in realtà nasconde un importantissimo cambiamento di prospettiva. Smart working significa, tra l’altro, maggiore flessibilità, più serenità nel conciliare vita privata e lavoro, crescita della responsabilizzazione individuale e dell’autonomia di pianificazione, benefici in termini ambientali con una riduzione delle emissioni legate agli spostamenti tra casa e ufficio, soprattutto, maggiore focus sulla qualità dei progetti portati a termine, piuttosto che sullo «sterile» minutaggio del tempo che si è dedicato a un determinato progetto. Finalmente, si è cominciato a capire che la vera autorevolezza manageriale risiede nella capacità di offrire mezzi e prospettive in grado di motivare e coinvolgere i collaboratori, sapendo delegare e facendo lievitare il senso di responsabilità e affidabilità di ogni professionista. Mai come in questa delicata fase di maturazione dei processi di digitalizzazione, ai posti di comando occorrono personalità dallo sguardo ampio e moderno, libere una volta per tutte da tentazioni autoritarie legate al controllo eccessivo e all’accentramento patologico.

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