L'Editoriale
Lunedì 03 Luglio 2023
Credibilità politica in caduta per lo zar
ESTERI. Putin è ora più forte o più debole? Quello di Prigozhin è stato un colpo di Stato o una pacifica marcia di protesta? La pace è più vicina o più lontana?
Dobbiamo augurarci che il ras del Cremlino cada o dobbiamo temere che la sua uscita di scena apra uno scenario ancora peggiore? Ci sono momenti nella storia in cui non si hanno elementi sufficienti per districarci nella nuova situazione che si spalanca davanti a noi, e tali ci sembrano, almeno fino ad oggi, i dati che possediamo. Una caratteristica, tuttavia, sembra essere loro comune: tratteggiare una situazione di grande incertezza, denunciata dall’implausibilità delle motivazioni offerte dai protagonisti ai loro comportamenti.
Prigozhin non può affermare, per paradosso, di non aver nutrito alcuna velleità golpista visto che ha intrapreso nientemeno che «la marcia su Mosca». Una marcia a sua detta «pacifista», ma con blindati e carri armati con cui, en passant, ha abbattuto due elicotteri e un aereo.
Altro paradosso: Putin non può considerare colpevoli di alto tradimento gli uomini della Wagner e, in quanto tali, passibili di una condanna capitale, e al contempo beneficiarli di un’amnistia liberatoria. Un comportamento che non può non infrangere la sua fama di uomo forte con il più ricco arsenale nucleare del pianeta. Un’amnistia – va aggiunto - presa non troppo sul serio dal comandante Prigozhin che se l’è data a gambe levate in Bielorussia, rifugiandosi per precauzione in una «camera senza vista», al riparo dagli occhi dei killer di Putin, invisibili ma implacabili.
Un autocrate, che si vanta di essere alla testa di una catena di comando invulnerabile, non può sfilarsi davanti all’insubordinazione di una brigata di soli cinquemila miliziani, peraltro mercenari, senza tradire l’irriducibile fragilità del suo apparato politico-militare.
Uno Stato che ambiva, e non ne faceva mistero, ad esportare il suo modello autoritario-imperiale in un paese «fratello», l’Ucraina, per liberarlo dalle mani di una cricca di corrotti, oltre che di nazisti, non può ritrovarsi dopo diciotto mesi sulla difensiva, respinto a ridosso della originaria linea di confine, esposto per di più al rischio (appena scongiurato, ma non si sa fino a quando) di una guerra civile. Con tutti queste implausibili contraddizioni, si può francamente dire che la Russia di Putin post-Prigozhin sia più forte di prima?
Il capo del Cremlino, nell’ammettere che tutto poteva finire in un bagno di sangue, voleva far credere al suo popolo di essere il suo salvatore e invece confessa la vulnerabilità del suo comando. Di più. Alla sua debolezza deve aggiungere anche una caduta della sua, già fortemente erosa, credibilità politica.
Fino a ieri bastava pronunciare la parola guerra, invece dell’ufficiale «operazione militare speciale», che al malcapitato venivano comminati cinque anni di carcere. Sui social, Prigozhin ha sbugiardato i vertici militari denunciando che la storiella dell’operazione militare speciale era una truffa ordita da generali corrotti. Una dichiarazione, a ben vedere, sconvolgente, ma che nessuno ha osato.
Alla lesione della sua autorità, Putin ha aggiunto anche una grave erosione della sua credibilità. Aveva cercato di accreditare l’invasione dell’Ucraina come una legittima reazione all’aggressione in corso della Nato e ora dovrebbe spiegare come mai l’Occidente non porta a termine il suo progetto imperiale proprio quando il nemico manifesta tutta la sua inaspettata debolezza. Non è più logico concludere che l’operazione militare speciale era una messinscena adottata per coprire una volontà di potenza, che la Russia di Putin per aggiunta non era in grado di sviluppare?
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