Costituzione, le riforme e i riflessi sull’Europa

IL COMMENTO. Riaffiora il tema delle riforme costituzionali con le indiscrezioni sulla bozza Casellati che dovrebbe rappresentare la posizione del Governo all’avvio del processo. Non entro troppo nel merito delle soluzioni puntuali, su cui sembra esservi una qualche dialettica critica anche nel Governo e che pertanto potranno essere modificate. La direzione di fondo è però chiara.

Con l’elezione diretta del premier (presidente del Consiglio) si batte la via della verticalizzazione leaderistica dell’indirizzo politico nazionale. Il rischio immediato è quello di svuotare i poteri di garanzia e controllo del Presidente della Repubblica (soprattutto lo scioglimento anticipato delle Camere), che dovrebbe poter contrastare eventuali decisioni di maggioranza in violazione della Costituzione e dell’equilibrio dei poteri. Non è un rischio da poco in un tempo in cui la Costituzione pare già – non da ieri - messa in soffitta su questioni fondamentali quali le politiche fiscali (dov’è la progressività dei tributi?), i diritti sociali (la sanità, ad esempio) e le autonomie territoriali…

Il punto su cui vorrei ora mettere l’attenzione è un altro e, per così dire, a monte. Viviamo in un tempo in cui si è fortemente accentuata ed è diventata palese, anche se in certa misura è sempre stata latente, una condizione che si può descrivere in termini di etero-determinazione di parti fondamentali dell’indirizzo politico che il Paese, semplicemente, riceve dall’esterno ed esegue. Pensiamo alla politica estera o alla politica energetica. Ne è riprova l’istantaneo riposizionamento di Giorgia Meloni, da leader all’opposizione a presidente del Consiglio, con il disinvolto «addomesticamento» delle posizioni precedentemente sostenute… L’esibizione muscolare della leadership di Governo, che il progetto di revisione costituzionale persegue, si pone in stridente contrasto con il grado di penetrante condizionamento esterno dell’indirizzo politico nazionale: dall’Unione Europea e, più ancora, dal potente alleato atlantico. Come potrà incidere questa riforma su questa situazione? Ridarà energia alla sovranità nazionale? O, viceversa, creerà un collegamento ancora più semplificato e incisivo dalle direttive esterne al decisore nazionale? E ancora: come impatterà la riforma sull’Ue, che avrebbe, teoricamente, dimensione e consistenza socio-economica necessarie e utili a creare uno spazio reale di azione politica non succube (per non dire sovrana)?

Qualche perplessità a questo proposito sorge, se è vero che l’Ue è apparsa molto spesso paralizzata nelle sue scelte politicamente più coraggiose proprio dalla presenza di ingombranti leader nazionali, che si ergono a campioni di semplificati (e spesso immaginari) interesse e identità nazionali. L’Europa dei premier (che parla attraverso il Consiglio europeo) fatica a esprimere significative posizioni comuni e a far avanzare il processo di federazione. Ma se l’Ue non riesce a esprimere posizioni politiche forti ed autonome, rimane lo spazio risicato dell’indirizzo politico nazionale, vassallo di appartenenze che lo condizionano profondamente. La possibilità di esprimere un indirizzo politico forte dipende oggi non da leadership costruite artificiosamente (magari con alchimie da leggi elettorali), ma dal sostegno dei cittadini, che sempre meno si esprime con il voto (largamente disertato) di investitura. È solo promovendo, in Italia e in Europa, l’autonomia collettiva dei lavoratori e dei cittadini che si creano basi e presupposti solidi della vitalità e dell’autonomia democratiche. In questa direzione, per esempio, sindacati aperti e proiettati sulla dimensione europea potrebbero essere tra le forze fondamentali di mobilitazione dal basso e, conseguentemente, di rinvigorimento democratico di istituzioni estenuate, attraverso l’immissione di istanze autenticamente popolari dei lavoratori nell’agenda e nelle sedi della decisione politica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA