Coronavirus in Europa
ognuno va da solo

Quando questa maledetta faccenda sarà finita, perché prima o poi finirà, e stiamo facendo di tutto perché finisca il prima possibile, molte cose cambieranno inesorabilmente nel nostro modo di vedere e di giudicare. Una di queste cose è certamente l’Unione europea. Finora Bruxelles non ci ha particolarmente impressionati per come ci sta venendo incontro nei nostri giorni più bui e difficili, a parte qualche bella dichiarazione di circostanza. Qualcuno ribatterà che in base alla lettera del Trattato di Lisbona la sanità è una competenza esclusiva degli Stati membri.

Ma a parte il fatto che questo maledetto virus - come tutti i virus - se ne frega delle frontiere, esiste un articolo del Trattato - il 168 - che prevede un intervento dell’ Unione per salvaguardare «la salute umana» in caso di «epidemie transfrontaliere». In questi casi dunque l’ Unione potrebbe intervenire, «incoraggiando la complementarietà dei servizi sanitari» ma, badate bene, coordinandosi con le decisioni dei governi. Insomma, prima si debbono mettere d’ accordo le Cancellerie, come si suol dire, dopodiché interviene la Commissione e gli altri complicati organi dell’ Unione, come il Consiglio dell’ Unione europea, il Parlamento Europeo e via articolando. Campa cavallo.

Fino a questo momento non pare proprio che gli Stati membri si siano messi d’ accordo su come affrontare il Covid-19. La Germania, ad esempio, che ha il «paziente zero» europeo, ha adottato una tecnica comunicativa opposta alla nostra, quella del «troncare e sopire» di manzoniana memoria. Quanto alla Francia, ha bloccato da giorni l’ esportazione delle mascherine, giusto per far capire quanto ci tenga ai cugini d’ Oltralpe. E quando abbiamo ufficialmente chiesto a un Paese membro questi strumenti preziosissimi per i nostri sanitari, che in questo momento sono merce rarissima se non inesistente, nessuna capitale d’ Europa, dal Portogallo all’ Islanda, si è fatta viva. Ognuno per sé e Dio per tutti. Un errore madornale - oltre che uno schifo - nella gestione di un’ epidemia che rischia di trasformarsi in pandemia.

Che sarebbe successo in Italia se ogni Regione si fosse comportata per proprio conto? Finora gli aiuti più concreti ci sono arrivati da un Paese extracomunitario, la Cina, che ha inviato mascherine e altri materiali per venirci incontro.

In questo momento in Europa non si scorge un interesse comune nell’ agire insieme. Siamo ancora agli appelli, come quello del ministro Speranza dopo aver lasciato il vertice straordinario dei ministri della Salute di Bruxelles.

Dove, tanto per cambiare, a parte la foto opportunity e la rinuncia dimostrativa alle strette di mano, con la bella coreografia dei ministri che si battevano il gomito, non è venuto fuori nulla.

«Questo è il momento della solidarietà globale e all’ interno degli Stati membri, solo camminando di pari passo potremmo dare la risposta più efficace a questa crisi», ha affermato il commissario alla Salute Stella Kyriakides. Blam, bla, bla. In Europa l’ egoismo dei governi prevale ancora una volta, come ha prevalso nella gestione dei flussi degli immigrati e dei rifugiati.

Vi è poi la tradizionale lentezza burocratica con cui ogni decisione viene presa dagli eurocrati. Con le emergenze sanitarie la democrazia viene in secondo piano, perché deve entrare in gioco la scienza, che grazie a Dio ha più fretta.

Forse, al netto delle dichiarazioni di intenti e di circostanza, dovremmo ottenere maggiore solidarietà e considerazione dal punto di vista economico. Tramite canali informali - nemmeno ufficiali - ci hanno fatto sapere che l’ Unione stornerà dai calcoli del nostro bilancio e dal conseguente deficit programmatico - permettendoci di sforare - i primi 6,3 miliardi di euro spesi dall’ Italia per combattere il virus.

Ma «una tantum» si è affrettata a specificare la presidente von der Leyen, quasi fossimo dei discoli che l’ hanno fatta grossa ma siamo stati perdonati.

Ma quando tutto questo sarà finito avremo bisogno di ben altro che stornare i sei miliardi necessari ai provvedimenti di emergenza.

Avremo bisogno di un vero e proprio piano Marshall per rivitalizzare un’ economia che sarà inevitabilmente in ginocchio, anche se desiderosa di rialzarsi. E allora si vedrà quanto ancora conta quest’ Europa. Intanto von der Leyen ha fatto sapere che proporrà di creare un fondo da 25 miliardi che andrà «a sostegno del sistema sanitario, delle Pmi, del mercato del lavoro e delle parti più vulnerabili dell’ economia», colpite dal coronavirus. Speriamo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA