L'Editoriale / Bergamo Città
Giovedì 26 Marzo 2020
Coronabond anti-crisi
i falchi si oppongono
Ultima chiamata per l’Ue
La video riunione del Consiglio europeo deve prendere delle decisioni molto importanti per il futuro del Continente (e delle sue economie) sferzato dalla pandemia da Coronavirus. Talmente importanti che potrebbero cambiare il volto dell’Unione oppure segnarne il declino.
Si riuscirà, di fronte all’emergenza, a superare l’Europa dell’austerità, attenta più al rigore dei bilanci che al benessere sociale dei suoi cittadini, quella che ha creato malcontento dando la stura ai movimenti nazionalistici, sovranistici ed eurocontrari? Se questo è il contesto, la domanda cui devono rispondere i capi di Stato e di governo è semplice: in che modo si concretizza la solidarietà europea nella lotta al virus e alla sue conseguenze socio-economiche?
Per iniziativa di Giuseppe Conte i premier di Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Lussemburgo, Grecia e Slovenia hanno firmato una lettera alla Commissione con cui propongono l’istituzione degli eurobond - ribattezzati Coronabond - cioè titoli emessi da una istituzione europea comuni a tutti i partner che rappresenterebbero un’azione collettiva per evitare che la pandemia si trasformi in una catastrofe economica.
Ma alla proposta del gruppo capeggiato da Francia, Italia e Spagna si oppone l’arcigno «Fronte del Nord»: sono l’Olanda, l’Austria, la Finlandia, Paesi se non irrilevanti di sicuro poco importanti nell’equilibrio continentale, che però, quando parlano, lo fanno di solito a nome della Germania che manda avanti i suoi satelliti per non esporsi.
L’Eurogruppo dell’altra sera è finito senza un accordo per il rifiuto degli olandesi di discutere dei bond europei in sintonia con le parole sprezzanti del ministro tedesco delle Finanze verso «novità geniali che in realtà sono vecchie idee già bocciate».
La tesi dei «falchi» è che quanto è stato fatto contro il virus (sospensione del Patto di Stabilità e possibilità di sforare i tetti del deficit, via libera agli aiuti di Stato, i 750 miliardi messi a disposizione della Bce) siano più che sufficienti e che se si vuole attivare il Mes lo si deve fare con le attuali condizioni stringenti a carico dello Stato che chiede aiuto. In sostanza: se fai un debito, te ne assumi il peso da solo e non coinvolgi i tuoi partner. Viceversa i sostenitori della proposta chiedono che siano eliminate tutte le condizionalità, e per la ragione che la pandemia non deriva dal comportamento errato di finanza pubblica di un singolo Stato, ma da una calamità imprevedibile che colpisce tutti.
Cosa c’è in ballo? Non solo la capacità di reazione efficace ad una recessione pesantissima per l’economia europea e soprattutto per i Paesi più fragili dal punto di vista dell’indebitamento (come l’Italia). Ma anche, e forse soprattutto, la stessa idea di Europa come comunità solidale: tante volte, a partire dalla crisi del debito pubblico degli anni ’10, questa natura è stata se non tradita almeno mortificata, e ciononostante l’Unione è sopravvissuta. Molti però sostengono che le dimensioni della presente crisi pandemica sono tali che se l’Europa non si dimostrasse all’altezza della sfida potrebbe addirittura scrivere così il suo atto finale.
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