L'Editoriale / Bergamo Città
Mercoledì 10 Ottobre 2018
Coraggio e solitudine
nel futuro di Gori
La notizia era nell’aria già da un po’ di tempo, e dunque non si può dire che la decisione annunciata martedì 9 ottobre da Giorgio Gori di ricandidarsi a sindaco di Bergamo sia una sorpresa. Anzi, sarebbe stata più «notizia» un annuncio in senso contrario. In molti si affannavano a ipotizzare il futuro di Gori dopo la batosta presa alle Regionali del 4 marzo scorso (venti punti di distacco tra lui e il leghista Attilio Fontana).
C’è chi lo vedeva tornare a vestire i panni del manager, lontano dalla politica, chi invece lo immaginava impegnato nella scalata del Pd, e chi, infine, lo considerava prossimo eurodeputato. Ma la discesa in campo per conquistare per la seconda volta Palazzo Frizzoni - che apre di fatto la campagna elettorale in città a sette mesi dal voto del 26 maggio ’19 - è in realtà l’unica strada possibile da percorrere. Per molti motivi. Il primo, il più scontato, è legato al fatto che - non facendolo - avrebbe in qualche modo «rinnegato» la qualità e la quantità del lavoro portato avanti dal 9 giugno 2014 (giorno della sua nomina a primo cittadino) ad oggi.
Si può essere d’accordo o meno sulle scelte fatte, ma certo non si può accusare Gori di immobilismo amministrativo. Non ricandidarsi avrebbe avuto il sapore di una sconfitta annunciata, di una deposizione delle armi, atteggiamento lontanissimo dal manager cresciuto in Fininvest. Il secondo ha a che fare con la scelta fatta nell’estate scorsa di candidarsi alla presidenza di Regione Lombardia, scelta che gli è costata critiche e accuse, prima fra tutte quella di non avere a cuore le sorti dei bergamaschi che l’avevano eletto sindaco. La decisione di ricandidarsi vuole spazzar via pure questi giudizi sommari anche perché, nei fatti, Gori non ha mai lasciato la nave senza nocchiero.
Il terzo motivo sta, infine, nella sua voglia di far politica e di lasciare il segno alla testa di una formazione politica - il Pd - che oggi incide pochissimo in quasi tutto il Paese e che, tolto il caso Brescia, con la vittoria al primo turno di Emilio Del Bono lo scorso 10 giugno, non registra alcun successo significativo ormai da tempo. Riuscire nell’impresa sarebbe, per Gori, una rivincita non di poco conto.
Certo è che la sua è una decisione per certi versi coraggiosa, e - anche in questo caso - per diverse circostanze, a cominciare dal fatto che, nella realtà, dovrà contare quasi esclusivamente sulle proprie forze, e questa è la difficoltà maggiore. Perché a differenza di quanto avvenuto nella primavera del 2014, Gori non potrà far valere due fattori che allora avevano contribuito al suo successo.
Il primo è l’effetto Pd, all’epoca al suo massimo storico (oltre il 40% di preferenze), in pieno renzismo, e il secondo è l’effetto trascinamento legato al fatto che quella domenica (il 25 maggio) si votava anche per le Europee, il che trasformava il tutto in un voto decisamente politico. Quel giorno Gori raccolse il 45,50% dei voti contro il 42,18% del sindaco uscente Franco Tentorio. Due settimane più tardi, il 9 giugno, Gori chiuse la partita conquistando il 53,5% dei voti.
Ma il 26 maggio prossimo questi stessi elementi non ci saranno più, viceversa remeranno contro: ci sarà inequivocabilmente l’effetto Salvini con relativo trascinamento dato dalle Europee. Del resto i dati del sondaggio Ipsos per il Corriere della Sera resi noti ieri parlano chiaro: nel Nordest la Lega si attesta attorno al 48 e rotti per cento. Gori conosce bene numeri e sondaggi, ma spera nel rilancio di un riformismo civico. È vero che il voto per il Comune ha (quasi) sempre una caratterizzazione propria rispetto a quello per le Politiche, ma se si guarda al voto delle Regionali 2018 - soprattutto dopo la scelta di Maroni di non candidarsi più - è fin troppo facile constatare che il centrodestra (e la Lega in particolare) ha votato a scatola chiusa l’uomo indicato dal partito.
A Bergamo chi sarà? Il centrodestra (che non farà alleanze con i pentastellati) ha ancora deciso nulla. Sebbene circolino i soliti nomi - l’ex parlamentare Giacomo Stucchi (non gradito a Salvini) e il neo parlamentare Alberto Ribolla, entrambi leghisti -, pare in realtà che la coalizione di centrodestra (Lega e Forza Italia) sia alla ricerca di un candidato forte nel mondo imprenditoriale. Ricerca difficile, in un ambiente che Gori peraltro conosce bene e che in questi anni ha cercato di rappresentare. Un mondo che - stando alle recenti dichiarazioni del presidente di Confindustria Bergamo, Stefano Scaglia - non sembrerebbe apprezzare particolarmente le scelte del governo, contrariamente alle ultime dichiarazioni «pro Lega» del presidente nazionale Vincenzo Boccia. Sarà dunque curioso vedere il risultato (se ci sarà) di questa ricerca.
E i Cinquestelle? Correranno da soli (con il consigliere regionale Dario Violi?), anche se Ipsos li dà al 17%, in calo del 6,8% nel Nordest.
L’ultimo fattore contro cui Gori dovrà lottare è la forza storica della statistica: dal 1990 ad oggi nessun sindaco di Bergamo è riuscito a farsi eleggere due volte, l’ultimo fu Giorgio Zaccarelli. Insomma ci vuole un bel coraggio a tentare la sorte in questo modo. E come ha scritto qualcuno, non è l’altezza del volo a misurare il coraggio, ma l’assenza di un paracadute. E Gori sembrerebbe non averne uno.
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