Conte il fantasista
in cerca di un ruolo

Quale sarà il Conte nel nuovo formato Presidente del M5S? Se possono esser d’aiuto i suoi precedenti, il personaggio ha rivelato di essere imprevedibile nei suoi comportamenti. Nessuno prima di lui ha compiuto direttamente il salto dall’anonimato alla presidenza del consiglio. Nessuno prima di lui ha percorso, in un lasso di tempo tanto breve (poco più di due anni), l’intero arco politico, passando senza alcun imbarazzo – e senza, bisogna dire, anche uno straccio di ripensamento sul suo precedente posizionamento da destra a sinistra. Ubiquo per definizione, è anche un fantasista dei ruoli che ha scelto o che gli è capitato di assumere. Servitore di due padroni (Di Maio e Salvini) al suo esordio in politica, passa un anno e, invece di tornare alla sua professione (come aveva promesso) al venir meno della sua maggioranza, sorprende tutti (estate 2019) e si impone come leader.

Dà il benservito a Salvini e degrada Di Maio a suo collaboratore, nelle vesti di ministro degli Esteri. Nel frattempo, è stato (col Conte 1) fervido assertore del populismo antipolitico, nonché attivo patrocinatore dell’euroscetticismo.

Si è convertito poi (col Conte 2) alla causa della sinistra e dell’Europa. Per finire, è passato dal proporsi come federatore dei progressisti ad assurgere a gran capo dei Cinquestelle.

Un’ubiquità politica tanto disinvolta potrebbe far pensare che la sua sia una vocazione al libertinaggio politico: questo o quello per me pari sono. In effetti, nel caso di Conte, più che chiedersi dove va, è bene chiedersi dove sta. Così si è comportato sino a oggi e ha avuto ragione, almeno se la ragione si misura con la popolarità.

A ben guardare due sono i fattori che hanno avuto un ruolo determinante nella sua carriera di successo. Primo: il disancoraggio da qualsiasi ideologia e persino da una specifica causa politica cui sopra accennavamo. Ci voleva altro, però, perché la sua avventura si compisse.

Insieme alla virtù c’era bisogno – ce l’ha insegnato Machiavelli – anche della fortuna. Questa in effetti gli è venuta in soccorso. Gli ha servito su un piatto d’argento una congiuntura ideale per lui: l’indeterminatezza del quadro politico che si potesse sposare con l’incertezza della sua linea politica.

Adesso la musica è cambiata. E con la musica è cambiata anche la parte in commedia che Conte è chiamato a recitare. Una parte che egli non ha mai recitato e che richiede inoltre doti che non ha ancora dimostrato di possedere.

Anzitutto, il quadro politico si è stabilizzato intorno alla figura di un tecnico competente, apprezzato, di grande prestigio internazionale, Mario Draghi. Rischioso farlo cadere senza rischiare di finire sotto le macerie.

In secondo luogo, fare il leader è altra cosa che fare il premier. Quando la maggioranza di governo è composita, l’arte della mediazione, del temporeggiamento, della semplice «annuncite» è quel che ci vuole.

Quando invece c’è da guidare una singola forza politica, per di più in ebollizione, con la tecnica del rinvio è facile finire impantanati. È finita l’epoca delle teleconferenze a reti unificate in abito firmato e pochette. È venuto il tempo di spendersi nelle piazze in maniche di camicia. Prima era il ruolo che creava il personaggio, ora è il personaggio che deve guadagnarsi il ruolo.

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