Conte ha bisogno
di cambiare passo

Conte mangerà il panettone a Natale, il primo dell’era Covid, e vedremo con quali commensali virtuali. È sperabile e possibile sia così, benché la testa degli italiani sia altrove: un po’ di impazienza da stress pandemico, i morti che continuano, l’attesa per il vaccino, la crisi economica che galoppa. A chi giova la crisi di governo? Fin qui, aspettando la legge di bilancio, c’è stato uno schema preconfezionato: drammatizzazione iniziale, mediazione successiva, quasi crisi, non crisi, poi un esito incerottato. Il gradino scivoloso erano i grillini in via di normalizzazione da parte del Pd, ma il loro è un caos decifrabile: pur di non andare a votare accettano di perdere pezzi per strada e di avere un futuro alle spalle.

La riforma del Mes è stata superata e il premier a Bruxelles ha siglato l’accordo per sbloccare i fondi del Recovery fond: oltre 200 miliardi di euro tra sussidi e prestiti agevolati per l’Italia. Conte è andato con una valigia mezza piena e con una credibilità del Sistema Italia che, pur a fatica, tiene. Se però Mattarella ripete che servono serietà e unità, il sottinteso è che ancora non ci siamo. Fra la primavera del primo lockdown e il Natale della seconda ondata il quadro è cambiato, scivolando verso l’incomprensione. La maggioranza è sfilacciata e divisa, scaricando su Palazzo Chigi le proprie contraddizioni. E per la proprietà transitiva, la stagione di Conte si complica: questa è la novità.

Adesso si apre la verifica di governo e non si esclude il Conte 3: rimpasto, ingresso di due leader di peso come vicepremier, Zingaretti piuttosto che Renzi? Verifica significa ridisegnare la mappa dei ministeri e le priorità dell’agenda, la conclusione è un passaggio parlamentare. Una crisi pilotata, guidata da Conte. Nel momento in cui il premier accetta di scendere dall’arrocco che gli viene addebitato, detta le condizioni. In particolare a Renzi, perché la disponibilità a trattare è l’esito dell’offensiva dell’ex premier, peraltro l’inventore del Conte 2. L’obiettivo di Palazzo Chigi è stanare il fuoco amico, invitandolo a rendere trasparente il proprio obiettivo.

Il crescendo del conflitto è stato deciso dalla competizione nella maggioranza. Renzi, nel cogliere un dato obiettivo (lo scarto dei Cinquestelle è improduttivo, comunque dentro la lealtà verso Conte), ha alzato la posta e per la prima volta il terzo incomodo ha sfidato il capo del governo a viso aperto. Ha poco da perdere e la guerriglia vietnamita in Parlamento è la sua ultima risorsa, avendo testato alle Regionali il modesto consenso del suo partito. Renzi è uno scaltro animale politico, ma non sempre sa calibrare le proprie incursioni corsare. Quando ha bombardato il quartier generale ha trovato un Pd consenziente, perché il leader di Iv diceva quel che i dem pensavano. Quando però Renzi ha superato la soglia sostenibile, il Pd s’è sfilato. È difficile che il paziente Zingaretti s’imbarchi in svolazzi pirotecnici. Ma anche fra il partito istituzionale e Conte s’è aperta una divaricazione. Zingaretti deve vedersela con i suoi, che gli dicono di darsi una mossa per non finire con l’essere il portatore d’acqua per gli altri, e fronteggiare un cane sciolto qual è Conte, inizialmente parte di una reciproca intesa cordiale. Eccoci al capitolo del premier, personalità anomala e non inquadrabile. La ferita aperta riguarda la moltiplicazione delle task force contiane di taglio tecnocratico e indizio di commissariamento della politica: sono le ragioni di Renzi, che ci stanno sul piano del merito. L’anomalia, che poi è la forza del premier, accompagna l’origine di un governo strambo: Conte è rientrato per la seconda volta a Palazzo Chigi come mediatore e in virtù di una acquisita furbizia politica, ritrovandosi con un vistoso potere discrezionale e con un notevole credito presso l’opinione pubblica guadagnato nella gestione dell’emergenza sanitaria. Uno spazio di manovra che eccede il suo peso politico, non essendo un leader di partito, e che oggi viene interpretato come la costruzione di un profilo personale e autonomo: da grande farà un suo partito? Prima indispensabile, poi solitario, quindi ingombrante. Il problema, con così tanta manna dal cielo europeo che sollecita appetiti corporativi anche nell’establishment economico, è che Conte deve ritrovare un proprio ruolo uscendo dall’angolo.

Gli Stati generali e la Commissione Colao sono durati lo spazio di un mattino. Il suo tormento è ritrovare un centro di gravità permanente nel rapporto con i partiti della maggioranza. Tanto più che chi ha originato la sua forza potrebbe non essere più in grado di mantenergliela: che succede l’anno prossimo con la fine del blocco dei licenziamenti, che destino hanno le partite Iva, quale sarà l’impatto dei «ristori» sui commercianti, chi gestirà la rabbia sociale? Con chi interloquisce il premier? Non con le parti sociali, che pure avrebbero potuto fornirgli un valore aggiunto anche rispetto alle forze politiche a cui fanno riferimento. Tant’è che Landini (Cgil) concorda con Bonomi (Confindustria) nel dire che la rappresentanza del lavoro è stata bypassata dal governo. A Conte, capace di essere concavo e convesso, serve un cambio di passo, indicare una missione, un orizzonte civile e sociale. Li si possono trovare e Mattarella ha fissato il crocevia inedito: difendere al meglio persone e comunità e preparare una nuova stagione di sviluppo.

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