L'Editoriale / Bergamo Città
Martedì 08 Settembre 2020
Conte-due, un anno
tra covid e spettri
La crisi più pazza del Dopoguerra si è aperta e chiusa proprio un anno fa, tant’è che in questi giorni ricorre il primo anniversario del governo che da quella crisi scaturì: il cosiddetto Conte-due. L’assalto di Matteo Salvini all’alleato grillino, nell’illusione di ottenere in breve le elezioni anticipate e un travolgente successo della Lega, si capovolse nel suo contrario, ossia nella nascita di un esecutivo in cui il M5S ha cambiato senza troppi drammi le sue alleanze, passando dalla destra del Carroccio al centro-sinistra del Pd - l’ex «partito di Bibbiano» - e di Italia Viva.
Fu proprio Renzi,con una piroetta che condizionò il recalcitrante Zingaretti, a costruire tra la generale sorpresa l’alleanza con i detestati grillini. Salvini cominciò allora una lunga marcia nel deserto di un partito forte sì, anzi il più forte, ma in decrescita costante perché immobilizzato in un angolo a tutto vantaggio dell’alleata Giorgia Meloni.
Nel frattempo Conte ha governato. Un anno di lavoro segnato fondamentalmente dal Covid, dall’enorme emergenza sanitaria, sociale, economica, occupazionale, dai contestati Dpcm, dall’emergere di una leadership personale dell’avvocato pugliese assurto in poco tempo ad un ruolo politico di primo piano al punto che ormai quasi più nessuno gli rimprovera di aver presieduto prima un governo di destra e subito dopo uno di sinistra con una disinvoltura che più d’uno ha avvicinato al trasformismo parlamentare di De Pretis nell’Italia post unitaria. E con tutte le contraddizioni del caso, naturalmente: i decreti sicurezza di Salvini che nessuno vuole veramente cambiare (figuriamoci abolire), e con il reddito di cittadinanza e quota 100 che restano tra le eredità non toccate dai ministri in carica.
Ma su tutto, dicevamo, ha giganteggiato la pandemia che tuttora segna la vita di tutti e che il governo ha affrontato come ha potuto: forse è ancora presto per tirare le somme di quanto è stato fatto, anche perché nessuno sa bene cosa ci riservi il futuro non solo sotto il profilo della salute ma anche dell’economia che ha ricevuto dal lockdown un colpo micidiale. Palazzo Chigi, in accordo con Bruxelles, ha parato i colpi del fermo produttivo con circa 100 miliardi di aiuti che hanno aumentato il deficit e fatto schizzare il debito alla quota spaziale del 160%. Secondo il presidente di Confindustria Carlo Bonomi quei soldi sono stati sostanzialmente sprecati in mance «senza toccare nessuno dei problemi che imbrigliano l’Italia»: l’imprenditore lombardo ha schierato la sua organizzazione decisamente all’opposizione del governo e ora tenta, sia pure alle sue condizioni, un patto con i sindacati.
Conte però è uscito bene dalla trattativa con Bruxelles che ci ha fruttato 209 miliardi tra sussidi e prestiti del Recovery fund: il suo problema adesso è riuscire a spendere quei soldi e a portare al Pil la dote di tre punti percentuali calcolati dalla Banca d’Italia. Partita difficile in sé, per la complessità della progettazione ed esecuzione in un Paese che realizza le cose in tempi biblici, ma che nasconde un’insidia politica. Quella gigantesca massa di risorse da impegnare potrebbe portare a nuovi equilibri politici di cui Conte rischia di non far parte. La prova del nove arriva il 20 settembre quando sei regioni (quattro amministrate dal centrosinistra e due dal centrodestra) vanno al voto. A parte la Liguria, Pd e M5S in sede locale non sono riusciti a costruire alleanze e ora rischiano che la destra faccia cappotto conquistando la Puglia, le Marche, e forse persino la Toscana. Solo la Campania di De Luca sembra al sicuro. Chi pagherà un’eventuale sconfitta di questo genere? Il peso sta soprattutto sulle spalle di Zingaretti che potrebbe essere il grande sconfitto. Ma le conseguenze fatalmente arriverebbero al governo minacciandone la tenuta. Cosa ci sia dopo un Conte-due nessuno lo sa. O meglio: tutti nella maggioranza temono le elezioni anticipate e la vittoria del centrodestra. Ma qualcuno coltiva anche l’ennesima soluzione «istituzionale». Magari targata Mario Draghi.
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