Conferenze e progressi, ma la pace non si vede

IL COMMENTO. Conferenza internazionale di pace in Svizzera, ispirata dall’Ucraina, e proposta di tregua di Vladimir Putin. Ad Est, all’apparenza, qualcosa si muove, ma è solo apparenza: il muro contro muro tra Kiev e Mosca prosegue; siamo davanti ad un dialogo tra sordi.

Sul lago di Lucerna il presidente Zelensky ha incassato un rilevante successo diplomatico, ma non così pieno come avrebbe sperato alla vigilia. Uno degli obiettivi non dichiarati era quello di dimostrare pubblicamente l’isolamento della Russia. Ed infatti in Svizzera erano presenti 56 tra presidenti e capi di governo; in totale una novantina di Paesi erano rappresentati. Mancava, però, la Cina, uno dei grandi giocatori della politica mondiale, che, già alla vigilia della Conferenza, aveva annunciato la sua assenza, poiché - questa la giustificazione - parlare di pace senza il Cremlino non ha senso. All’ultimo momento, quasi inaspettato, è giunto il ministro degli Esteri saudita che ha sottolineato che i due belligeranti dovranno fare dei seri «compromessi» se vorranno raggiungere la pace.

Facciamo un passo indietro con la proposta di tregua di Putin, resa nota venerdì scorso. A leggerla sembra la versione aggiornata - con al suo interno l’inserimento dei territori ucraini ormai sotto controllo federale – della base di trattativa del gennaio 2022, prima dell’inizio della cosiddetta «Operazione militare speciale», voluta dal Cremlino.

Come allora non si tiene conto che uno Stato sovrano può decidere in casa propria quello che vuole in piena libertà e non essere condizionato dalla volontà di un «vicino» ingombrante. Con la globalizzazione le sfere di influenza sono un concetto archiviato dal 1991, ma Putin non l’ha ancora capito.

La risposta comune dei leader occidentali è stata improntata all’irricevibilità di tale proposta, etichettata come una «richiesta di resa» incondizionata piuttosto che un’offerta di conciliazione.

Il presidente Zelensky è stato ben più pesante, ricordando gli eventi della «Cecoslovacchia del 1938» - crisi antecedente allo scoppio della Seconda guerra mondiale causata dalla «questione di Danzica» nel 1939 - e facendo un paragone storico popolare a Kiev. Infine ha aggiunto: «Putin non si fermerà e dopo l’Ucraina toccherà all’Europa».

Quest’ultima posizione è condivisa dall’intero Occidente. La tragedia russo-ucraina è iniziata nella primavera 2014 - non nel febbraio 2022 - con l’«annessione» della Crimea e con lo scoppio del conflitto in Donbass, «congelato» nel 2015 con gli accordi di Minsk. C’è quindi un precedente.

Non stupisce pertanto che la strada indicata dal G7 italiano è quella della pressione sul Cremlino per portare Putin a più miti consigli. Dopo la fornitura in primavera delle armi, giunte in ritardo, è stato approvato ora in Puglia un imponente piano di aiuti finanziari all’Ucraina e un inasprimento delle sanzioni economiche contro Mosca.

Nel weekend sul lago di Lucerna i presenti sotto la guida elvetico-ucraina hanno lavorato a tre mega-aree tematiche per comprendere come raggiungere una «pace duratura»: sicurezza nucleare, libertà di navigazione e sicurezza alimentare, aspetti umanitari e lo scambio di prigionieri. Progressi generalizzati, a quanto pare, sono stati registrati su questi campi. Ma l’aspetto più importante per Kiev è stato un altro: nel documento finale si sono ribadite sia l’integrità territoriale sia la sovranità ucraina. Il diritto internazionale, del resto, è chiaro. I presenti hanno evidenziato che è la legge ad indicare la strada per uscire da questa palude. Quindi Kiev reclama, da oggi ancor di più, di tornare alle frontiere del 1991, confermate anche dal memorandum di Budapest del 1994, violato nel 2014 dalla Russia. Quali prospettive adesso dopo questa settimana di colloqui? La via verso una «pace duratura» è ancora lontana. Il tempo è ancora delle armi, almeno fino all’inverno.

La mancata firma a Lucerna del documento finale da parte di Arabia Saudita, India, Brasile e Sud Africa – Paesi del Brics vicini alla Russia – indica di nuovo che la questione ucraina è usata da qualcuno come sfida per far saltare il «banco» occidentale.

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