Condividere è da cristiani
Il comunismo è altra cosa

Tanto per essere chiari lo ha ripetuto un’altra volta e il fatto di averlo detto nel pieno delle polemiche sui vaccini ad uso dei ricchi che lasciano i poveri in fondo alla fila indica anche l’obiettivo di Jorge Mario Bergoglio. Ieri mattina Francesco ha spiegato che condividere la proprietà «non è comunismo, ma cristianesimo allo stato puro». Insomma è contenuto e metodo ed è l’unica maniera per poter essere definiti misericordiosi. Il Papa finisce così tra la schiera di coloro che quando parlano di equità e di giustizia sono accusati di comunismo.

È accaduto ad Helder Camara che una volta confessò: «Quando do da mangiare ai poveri mi dicono che sono un santo, quando mi chiedo perché esistono i poveri dicono che sono comunista». Ma la lista è lunga e annovera almeno altri due Papi, Roncalli e Montini, il primo per aver convocato il Concilio Vaticano II e il secondo per aver scritto la «Populorum progressio». Esattamente sette anni fa rispondendo alle domande di cinque ragazzi delle Fiandre che erano andati ad intervistarlo per un loro progetto scolastico aveva detto di sapere bene che lo accusano di essere comunista, perché sta dalla parte dei poveri, ma l’aveva respinta spiegando che l’amore per i poveri è una «bandiera del Vangelo».

Ora il punto non è la proprietà privata, ma la condivisione di ciò che appartiene a ognuno. Il riferimento riguarda gli Atti degli Apostoli, prima lettura della Messa di ieri: «Fra loro tutto era comune». Comunismo? No, Vangelo, ha di nuovo sottolineato il Papa. È sorprendente che un Pontefice debba difendere il Vangelo dagli ignoranti e dagli incompetenti. Il Vangelo insegna a unire popoli, scavalcare barriere, domare particolarismi, superare rigidità identitarie, curare le «piaghe dei bisognosi». E la Chiesa, i suoi uomini e le sue donne, con tutti gli errori e gli inciampi in cui si sono infilati nei secoli, ha tentato di restare fedele a quel Vangelo. Bergoglio pochi giorni fa aveva usato un temine desueto, anch’esso caratterizzato tradizionalmente da una narrativa semantica comunista, per chiedere di non dimenticare i più poveri nella distribuzione dei vaccini: «Internazionalizzazione». Lavorare per internazionalizzare i vaccini è uno dei modi oggi per essere misericordiosi, perché essi vanno messi in comune. Il Papa non chiede affatto di cancellarne la proprietà intellettuale, ma di sottrarne il risultato dalla «sfrenata cupidigia del predominio» per dirla con le parole di Pio XI nella «Quadragesimo anno» del 1931. Davanti alle retoriche dell’economia globalizzata e delle sue regole di esclusione, davanti al denaro che governa invece di servire e di fronte a uno scenario colmo di gente scartata e gettata via dalle guerre e da quello che rischia di diventare per alcuni popoli il genocidio virale da Covid-19, assommato al resto di guai già spaventosi, Bergoglio prova a dire che non si può costruire la famiglia umana se prima non ci si libera dalle proprie aspirazioni al conflitto solo per difendere ciò che ognuno considera suo. Vale per i vaccini, per il denaro e anche per la fede, quando la si tiene per sé, ritenendo la propria comunque migliore e più aderente alla dottrina di quella dell’altro. Credere nella speranza di un mondo nuovo e di donne e uomini nuovi è comunismo? Allargare le braccia per amore ai popoli sfruttati e rapinati, ai poveri abbandonati, evitare di distogliere lo sguardo o nascondere le proprie competenze per non aver fastidio nella coscienza e disturbo per le nostre (apparenti) sicurezze non significa affatto sottoscrivere un patto con Marx, Lenin e Mao Tze Tung, come recitava un indimenticabile mantra di anni passati.

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