Concorrenza per crescere anche dopo l’emergenza

Prima, nel 2010, la crisi del debito sovrano. Poi, nel 2020, la pandemia da Covid e il suo prezzo salato anche in termini di ricchezza volatilizzata e mancato sviluppo. Nell’ultimo decennio, contingenze straordinarie hanno imposto spesso risposte di politica economica senza precedenti: dalle misure non convenzionali delle Banche centrali all’indebitamento comune dell’Unione europea che ha reso possibile gli aiuti di Next Generation Eu. Emergenze così totalizzanti, dopo due lustri, hanno condizionato anche le modalità con cui il tema «crescita» viene trattato nel dibattito pubblico italiano. Negli ultimi mesi, nel nostro Paese, lo sviluppo economico in alcuni casi è scambiato per quel fisiologico rimbalzo statistico che segue tonfi drammatici, in altri casi è visto come il frutto di un disegno razionale alla portata di poche persone (o di una istanza superiore) che lo impongono alla collettività. Si vedano, per esempio, le attese sconfinate per gli effetti del Recovery Plan impostato e finanziato dall’Unione europea.

In una situazione certo eccezionale, è come se molti dimenticassero che la crescita economica dovrà continuare anche dopo le fasi emergenziali, quando gli interventi straordinari avranno esaurito la loro forza propulsiva e la loro ragion d’essere. A dire il vero il presidente del Consiglio, Mario Draghi, non ha mai smesso di ripeterlo: la nostra sfida, dopo il rimbalzo del Pil che è sicuramente benvenuto da tutti e facilitato dai fondi Ue, consisterà nell’alimentare una crescita di medio-lungo periodo che sia superiore a quella anemica del ventennio passato. E su quali gambe camminerà la crescita in tempi normali, quando Banche centrali rockstar e finanziamenti europei a buon mercato smetteranno di monopolizzare l’attenzione mediatica e politica? Come da sempre nella storia moderna e contemporanea, una crescita sostenuta non potrà che fondarsi sulla razionalità di ogni individuo, in un sistema che consenta per quanto possibile di dispiegare intelligenza, creatività, intraprendenza di ciascuno di noi. È proprio per facilitare questa forma fisiologica di sviluppo «dal basso» che torna utile il disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza appena varato dal Governo.

Cosa lega infatti la decisione di assegnare soltanto dopo una gara pubblica sia le concessioni per la gestione dei porti sia l’affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale? Cosa accomuna il cambiamento dei criteri di nomina dei dirigenti (come i primari) negli ospedali per rafforzarne la trasparenza e la diffusione dei farmaci equivalenti o generici, meno costosi di quelli brevettati? In estrema sintesi, si tratta di cambiamenti normativi uniti dall’obiettivo di aumentare le possibilità di scelta di tutti noi, nelle vesti a volte di imprenditori, a volte di lavoratori o infine di consumatori o pazienti.

Il disegno di legge approvato, che con oltre 30 articoli tocca una decina di settori della nostra economia, contiene anche sei deleghe al Governo. Per alcuni è una scelta dilatoria, un modo per evitare lo scontro diretto con categorie già sul piede di guerra. Tra le deleghe attribuite all’esecutivo, se ne segnalano due particolarmente «pesanti», seppure meno mediatiche delle solite licenze per i taxi o delle concessioni per gli stabilimenti balneari (che comunque saranno «mappate»). La prima riguarda il riordino dei servizi pubblici locali, prevedendo fra le altre cose che l’ente locale che rinuncerà al mercato per offrire invece un servizio in house dovrà giustificare in anticipo la sua scelta all’Autorità per la concorrenza. La seconda delega di rilievo dispone la semplificazione dei procedimenti amministrativi che vincolano le attività imprenditoriali private. Per tutti gli altri ambiti del Ddl, ora tocca al Parlamento. Finora i partiti si sono distinti per la loro capacità di frenare l’apertura di certi mercati, innanzitutto sorvolando sulla cadenza annuale della legge sulla concorrenza, introdotta nel 2009 ma applicata fino in fondo soltanto nel 2017. Da domani, lavorando in aula sulle norme per ampliare l’accesso ai mercati di aziende piccole e innovative, per rafforzare possibilità di scelta e tutela dei consumatori, gli stessi partiti potranno dimostrare di aver compreso che ci deve essere crescita anche dopo l’emergenza.

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