
(Foto di Ansa)
ITALIA. Per tutta la giornata le opposizioni hanno ripetutamente chiesto a Giorgia Meloni di esprimere la sua opinione sulle dirompenti dichiarazioni di Trump su Zelensky e la guerra in Ucraina.
Ma sono rimasti delusi, le uniche parole pronunciate dalla presidente del Consiglio hanno riguardato le condizioni di salute del Papa, a cui ha fatto visita per venti minuti al «Gemelli». Chissà se Meloni ha colto la perfida allusione a lei contenuta in un commento di Pier Ferdinando Casini: «Nessuna convenienza politica può impedire alle persone libere di parlare».
Il silenzio di Meloni rimanda il pensiero all’espressione imbronciata colta dai fotografi durante il vertice di Parigi in cui era evidente il suo disaccordo e il cattivo umore. Meloni sta sulla corda perché obiettivamente è in una posizione scomoda: man mano che le posizioni si divaricano deve decidere se stare con Trump o con l’Europa: nell’incertezza, peraltro, Macron sta per volare a Washington a discutere con il presidente Usa nelle vesti che si auto assegna, di rappresentante Ue e mediatore, proprio il ruolo cui ambirebbe la nostra premier.
La quale ha anche un serio problema in casa: proprio nelle ore in cui lei ostinatamente si chiudeva nel riserbo, Matteo Salvini dichiarava ufficialmente ed entusiasticamente il suo «pieno appoggio a Trump per la fine dei conflitti», condendo la dichiarazione con la consueta bordata di critiche all’Europa «e alle sue follie, come il green deal». Salvini punta ad essere il primo trumpiano d’Italia e sempre più rumorose si fanno le sue riserve sull’invio di armi all’Ucraina: finora ha sempre votato disciplinatamente a favore, ma ormai l’aria è cambiata, Zelensky «è il dittatore senza voti che ha voluto la guerra» secondo il verbo trumpiano, e c’è da giurare che il decreto sugli aiuti da poco votato, nelle sue intenzioni dovrebbe anche essere l’ultimo.
E anche qui ci sarà un problema per Meloni che dovrà fare ciò che deciderà l’Unione se l’Ucraina rifiuterà gli accordi che si dovessero raggiungere nei tavoli russo-americani dai quali è stata esclusa (insieme alla Ue). È anche un problema di voti, fra Meloni e Salvini: il largo consenso del popolo di centrodestra verso la suggestione che viene da Washington potrebbe condizionare la prossima scelta elettorale se vedesse una Meloni troppo incerta e un Salvini più allineato e coperto sotto il mantello di Donald, come il capo leghista chiama confidenzialmente il presidente americano.
In tutto ciò, anche Tajani e Forza Italia vivono un momento di incertezza. Il vicepremier e ministro degli Esteri si è dimostrato cautissimo in queste settimane: ogni giorno sta attento a non scoprirsi troppo né da una parte né dall’altra. Ma la sua cautela ha provocato la plateale irritazione di Marina Berlusconi il cui malumore è tracimato nella lunga intervista concessa al direttore de «Il Foglio». Il capo della famiglia prima azionista del partito fondato dal Cavaliere vuole che Forza Italia stia più chiaramente dalla parte dell’Europa e dei valori liberali e guarda con preoccupazione alla deriva americana; dunque la cautela di Tajani non è gradita ad Arcore e l’invito a uscire allo scoperto si unisce a quello, ripetuto nel tempo, di non essere troppo subordinato ai voleri di Giorgia Meloni (altra critica che pesa sulla testa del ministro degli Esteri).
Come si vede, l’evoluzione geopolitica e internazionale pone non pochi problemi alla coalizione di maggioranza e rischia di farne emergere le contraddizioni inasprendo le rivalità elettorali e personali. Non che dall’altra parte le cose siano più semplici: al Pd schierato dalla parte dell’Ucraina e della Ue si contrappone ogni giorno di più un Conte scatenato contro «il bellicismo dell’Occidente e della Nato».
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