L'Editoriale
Giovedì 30 Settembre 2021
Choc positivo
dalla pandemia
La fotografia dell’economia italiana offerta dalla Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef) è decisamente a tinte rosee. Il rimbalzo del prodotto interno lordo (Pil) è superiore alle attese sia quest’anno (6%) sia il prossimo (4,7%) e l’indebitamento scende al di sotto della soglia psicologica, ma non per questo meno impegnativa, del 150% rispetto al Pil. I conti pubblici beneficiano sia di risparmi sui costi sia di maggior gettito dai contribuenti. La sensazione che si coglie fra gli analisti e gli operatori economici è che sia qualcosa di più di un mero effetto denominatore, cioè a dire che i dati di oggi si confrontano con quelli particolarmente depressi dell’anno scorso. Si percepisce una sorta di sblocco di energie che erano state compresse anche prima della pandemia e che desiderano oggi esprimersi e realizzarsi pienamente.
Sono sostenute anche dalle speranze e dai progetti connessi con il massiccio piano di rilancio e resilienza, il celebre Pnrr, che mette a disposizione ingenti risorse per nuovi investimenti. La transizione ecologica, la digitalizzazione, il potenziamento infrastrutturale e perfino l’ammodernamento ed efficientamento del patrimonio immobiliare sembrano davvero generare un nuovo slancio per il sistema economico italiano. Lo conferma l’andamento degli investimenti fissi che si colloca già oggi oltre il 15%, al di sopra della crescita del Pil, e per l’anno prossimo è visto al 5,8%. Un quadro decisamente rassicurante.
Ci sono due punti di attenzione. Il primo è che la carenza di materie prime e i ritardi nella fornitura della componentistica dei prodotti inneschi un processo inflazionistico. La Presidente della Bce Christine Lagarde ha tranquillizzato i mercati dicendo di ritenere questo fenomeno temporaneo e quindi non atto a produrre effetti negativi persistenti. Il secondo punto di attenzione è che la ripresa economica italiana è ancora molto legata alle esportazioni. Nel secondo trimestre sono cresciute addirittura del 40%, più di Germania, Francia e Spagna, e registreranno un aumento annuo del 14% nel 2021 e del 6% nel 2022. Ciò non è un male di per sé, se non che, come noto, la vocazione all’export è molto differenziata nel nostro Paese: molto più presente al Nord, meno al Centro e poco al Sud. Ne scaturirà un’ulteriore divaricazione dei tassi di crescita fra le aree geografiche, accentuando una tendenza che già si coglieva da tempo. Una conferma indiretta viene dai dati sulla disoccupazione che, nonostante il quadro complessivamente positivo, non è vista in calo nei prossimi anni. Eppure tutti gli imprenditori con cui si parla lamentano grandi difficoltà a reperire i collaboratori. Evidentemente il problema è geografico, non c’è offerta di lavoro nelle aree meno rivolte all’export, e qualitativo, non sono disponibili le figure professionali ricercate dalle imprese (facendo finta che il reddito di cittadinanza, male concepito e peggio attuato, non sia un disincentivo al lavoro).
Un quadro non esente da qualche ombra ma comunque incoraggiante. Se le prospettive fossero confermate, potremmo assistere a un fenomeno meno paradossale di quanto potrebbe sembrare: la pandemia, con tutto il dolore e i problemi che ha portato, avrebbe costituito uno choc anche positivo, inducendo a mobilitare risorse prima sopite o soffocate. È capitato spesso nella storia economica: la distruzione causata dalle guerre innesca processi di ricostruzione molto dinamici, la peste nera del ’300 è stata la premessa del Rinascimento. Allora ci vollero circa 50 anni, secondo dove collochiamo l’inizio del Rinascimento, ma oggi il mondo è molto più veloce.
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