L'Editoriale / Bergamo Città
Venerdì 26 Ottobre 2018
Chiesa, l’errore
fatto a monte
Se non fosse per le implicazioni che ne conseguono, ci sarebbe persino da ridere. In una regione dove chi governa non vuol sentir parlare di moschee, sono i musulmani a vincere l’asta di un’azienda di Regione Lombardia (la Asst Papa Giovanni XXIII) per l’aggiudicazione della «chiesina» del vecchio ospedale di Bergamo, retta fino a pochi anni fa dai Frati Minori Cappuccini. In poche parole, un luogo di culto cattolico diventa un luogo di culto islamico.
Specchio dei tempi, si dirà, ma la questione non può esaurirsi solo prendendone atto, così come non può essere affrontata - contrariamente a quanto accade in queste ore - soltanto a livello politico, con continue accuse reciproche e goffi tentativi di nascondere quel che è sotto gli occhi di tutti. La prima questione da porre, al di là di quelle di lana caprina se il bando sia o non sia irregolare o di quale cavillo scovare per renderlo nullo, è come può essere che un luogo così simbolico come la chiesa del vecchio ospedale della nostra città sia messo all’asta come un negozio qualsiasi, trasformandolo in un affare da cui trarre guadagno.
Non è l’edificio in sé a rendere «straordinarie» queste mura, e, se vogliamo, nemmeno la Croce che stava sul tetto. A rendere «laicamente sacro» la «chiesina» nella coscienza di tutti noi è quello che essa stessa ha rappresentato per migliaia e migliaia di bergamaschi: per molti il luogo del ringraziamento a un Dio che ci ha protetto e ci ha salvato, per molti altri il luogo della contemplazione del mistero della morte e del valore simbolico della Croce, ma tutti così umanamente «nudi» come il Cristo appeso sopra l’altare. Tutti con il capo chino e il cuore in mano, lasciando scorrere le proprie angosce e i propri misteri. Credenti e - inutile dire il contrario - non credenti. E tutto ciò non può valere 400 mila euro, chiunque sia a versarli. C’è solo una parola per «quantificarne» il valore: incalcolabile.
Il primo grande errore in tutta questa vicenda è stato dunque quello di affrontare il futuro della chiesina senza avere in testa alcuna strategia tesa a tutelarne l’intimo valore racchiuso al suo interno. Insomma, ci si sarebbe dovuto porre un problema culturale ancor prima che commerciale. Di certo, contrariamente a quanto si voglia far credere, non è un problema di religione, tanto meno tra la religione cattolica e quella islamica. Anche perché – forte del grande atteggiamento di apertura sui temi dell’accoglienza e dell’integrazione, unica agenzia culturale veramente diffusa su tutto il territorio - la Chiesa Cattolica non ha nulla da temere. I suoi nemici non sono i musulmani, ma il neopaganesimo che sta pian piano erodendo il tessuto cristiano radicato nella società facendo leva sulle diversità. Gli umanisti cristiani del Rinascimento, alla domanda su quale era l’identità europea, rispondevano che si basava su quattro colonne: le tre religioni monoteistiche (ebrei, cristiani, islamici) e i grandi autori classici, che in quel periodo venivano riscoperti grazie alle traduzioni dall’arabo. Difficile dire se oggi queste quattro colonne affossino o reggano l’Europa, il problema è fare in modo che ci sia un concorrere di idee e di azioni per costruire un mondo di pace, e non di guerra, con una classe politica che sappia davvero governare questi complicati intrecci facendo lievitare la concordia tra i popoli.
La vicenda della chiesina dell’ex ospedale fa esplodere un problema che non deve trascinare i contendenti politici in una rissa senza fine, ma che, al contrario, deve essere da stimolo per riuscire a dare un valore simbolico a tutto ciò che dà significato alle nostre tradizioni e, nel contempo, a dar vita ad un progetto ecumenico che contempli le caratteristiche multireligiose della nostra società. Il rispetto delle diverse comunità è infatti il primo passo del dialogo interreligioso. Il caso bergamasco è anche un esempio paradigmatico di ciò che accade oggi nel martoriato Medioriente, in Siria e in Iraq, dove le moschee diventano chiese e le chiese diventano moschee, attraverso l’intreccio di quei popoli perseguitati dalla guerra. Luoghi in cui si stanno incrociando speranze ed esperienze religiose che hanno tra loro una radice comune: lo stesso testo sacro, caro ai cattolici, agli ortodossi e agli islamici.
Chissà cosa avrebbe scritto oggi Giovannino Guareschi se si fosse dovuto occupare di questa vicenda, lui che già negli anni ’60 aveva brillantemente risolto la disputa della «Madonnina del Borghetto», alle porte di Brescello, che l’allora onorevole Peppone e la sua giunta comunista volevano abbattere per far posto alle case popolari. Sorgeva su un terreno di proprietà della curia e si voleva strumentalizzare politicamente il fatto che - almeno così credevano i comunisti - la Chiesa avrebbe rifiutato il terreno. Ma così non avvenne, a patto che gli alloggi venissero distribuiti equamente tra famiglie proposte dalla parrocchia e famiglie proposte dal Comune. Ne scaturì un parapiglia infinito, ma la cappelletta resistette a tutti i tentativi di abbatterla e divenne pietra angolare del nuovo edificio: 8 appartamenti al Comune e 7 alla parrocchia. Don Camillo rinunciò a uno, «ma per una buona causa». Vinse il buon senso comune, speriamo sia così anche oggi.
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