L'Editoriale
Martedì 29 Agosto 2023
Chiacchiere estive finite, ora i conti con la realtà
ITALIA. Il consiglio dei ministri di ieri ha cominciato a scaldare i motori in vista dell’approvazione della prossima (e «complicata») manovra di Bilancio.
Non c’è molto tempo per discutere ancora dopo le polemiche estive tra esponenti della maggioranza: entro il 25 settembre dovrà essere pronta la Nota Aggiuntiva al documento di economia e finanza (Nadef), poi per metà ottobre occorre che sia nero su bianco la bozza della legge da mandare a Bruxelles per l’approvazione della Commissione. Entro la fine dell’anno l’approvazione definitiva da parte del Parlamento – cui, come accade ormai da molti anni, saranno consentiti solo pochi e marginali correttivi ad una manovra vistata dal governo, dai capi dei partiti della maggioranza e dalla Commissione europea. Da qui ad allora al ministero dell’Economia faranno i conti con le entrate fiscali della seconda metà dell’anno – Iva e Irpef – e spereranno che il Pil trimestrale si raddrizzi con gli affari del turismo nazionale che, anche se in tono minore rispetto all’anno scorso, è andato più che bene.
Il punto è che, a conti fatti, Giorgetti ha di fronte a sé una manovra da trenta miliardi: tutti da trovare. Nessuna possibilità di fare una manovra «in deficit», come si è fatto durante il Covid, portando il rapporto deficit/Pil al 3,7 per cento, già ora al di sopra del tetto invalicabile posto dall’Europa. Ecco la spiegazione di quell’ammonimento di ieri di Giorgia Meloni ai ministri: «Dobbiamo spendere bene i pochi soldi che abbiamo». Secondo alcune indiscrezioni, i capi dei dicasteri si sono presentanti in Consiglio con richieste pari al doppio della manovra: «chiacchiere estive» le ha bollate Giorgetti che ha sotto gli occhi tutti i giorni i grafici e le tabelle della Ragioneria Generale dello Stato che indicano un allarme, se non rosso, quantomeno arancione.
Ma Giorgetti (e Meloni dietro di lui) hanno chiaro in testa un punto di non ritorno: i conti pubblici non vanno scassati perché le conseguenze sarebbero enormi, sia sotto il profilo reputazionale per il governo e la sua premier che si sta costruendo una rispettabilità internazionale non scontata all’inizio del suo mandato, sia in termini di conseguenze sul nostro debito pubblico. Già la ventilata tassa sugli extraprofitti delle banche ha così mandato in fibrillazione molti investitori da dover essere in parte rimangiata (Giorgetti la condivideva in minima parte e Tajani per niente) e non possono essere fatti altri passi falsi che allarmino i mercati e rimettano l’Italia al centro della scena mondiale dell’andamento dei debiti pubblici. Su questa base Meloni ieri ha indicato alcune priorità: l’aiuto alle famiglie e alle fasce più deboli, la lotta contro la denatalità, il sostegno alle imprese. Quindi misure come il taglio del cuneo fiscale e l’assegno unico vanno difese inserendole in una riforma fiscale più generale che dovrebbe comprendere anche la detassazione delle tredicesime e dei premi di produzione almeno per alcune fasce di lavoratori dipendenti.
La presidente del Consiglio ha dato la colpa dell’attuale situazione della cassa dello Stato ai «disastri» del Superbonus al 110% del governo Conte 2 «che ha provocato irregolarità ai danni dello Stato per 12 miliardi», ma certo non basta questo a spiegare tutto: la frenata del Pil nell’ultimo trimestre (anche se altri Paesi sono già in recessione, vedi Germania e Olanda, e noi no) si spiega con molte altre cause strutturali che Meloni vuole affrontare entro la legislatura. Senza parlare delle difficoltà dell’attuazione del Pnrr.
Per ottenere disciplina dai suoi ministri Giorgia Meloni dovrà innanzitutto calmare le polemiche tra Tajani e Salvini, che stanno duellando da settimane, ma anche trattenere i suoi che vorrebbero calcare la mano dal lato della spesa. Tutti, in realtà, hanno in mente la elezioni europee della prossima primavera e cercano una bandiera da sventolare sotto gli occhi dell’elettorato in modo tale da superare indenni la prova. Anche la premier, pur forte del suo quasi 30 per cento dei voti, deve stare attenta all’esito delle europee anche se il suo sguardo deve necessariamente essere più ampio se vuole che il suo sia davvero un governo di legislatura (e oltre).
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