Governo, 100 giorni
appesi a un filo

Cento giorni tribolati. Da quando Giuseppe Conte ha giurato per la seconda volta da presidente di un governo opposto a quello che aveva presieduto fino a un minuto prima, l’alleanza giallo-rossa ha vissuto stentatamente. E si capisce: i 5Stelle sono nati per combattere il Pd, nefando simbolo dell’odiata casta. E ci governano insieme. I Pd hanno sempre manifestato puro disprezzo per i descamisados grillini. E ci governano assieme. Tutto per «colpa» di Matteo Salvini che, avendo fatto l’errore di provocare la crisi di governo per ottenere le elezioni anticipate, ha finito per spingere i due nemici al fidanzamento; e per «merito» di Matteo Renzi che con una piroetta strabiliante ha fatto fidanzare Zingaretti (che non voleva) con Di Maio (che non voleva). Poi però Renzi si è fatto un partito suo con cui tiene le chiavi della maggioranza in Senato: se lui vota contro, Conte cade. Ma fino a quando durerà?

Fino al 2023, giurano i contraenti, in realtà fino all’anno prima, quando bisognerà rieleggere il successore di Mattarella. Poi che ci si arrivi, al 2022, è tutto da dimostrare. Ma è forte l’obiettivo comune: impedire a Salvini di rientrare in gioco. Già, perché il capo leghista è ancora dato per sicuro vincitore delle elezioni mentre i grillini rischiano lo squagliamento elettorale (quanto al Pd, i sondaggi lo danno un po’ sopra le europee, e quindi potrebbe mollare gli alleati riluttanti senza troppa angoscia). Ecco l’origine dell’accordo che ha messo in piedi il Contebis giunto al centesimo giorno. E poi c’è anche la motivazione «ufficiale» dell’alleanza: trovare i 23 miliardi per tappare il buco dell’Iva. Operazione riuscita con la manovra economica che però oltre a quello poco contiene: tasse che appaiono (plastic, sugar, pagamenti elettronici, ecc.) e poi vengono rinviate; misure per il lavoro (cuneo fiscale) impercettibili causa mancanza di soldi, e altre misure-cartello di poco conto.

Nel frattempo due cose sono state fatte: il taglio del superticket e quello dei parlamentari, un cavallo di battaglia grillino cui il Pd si è malvolentieri rassegnato. Sul resto si è litigato. Da ultimo, è cronaca di queste ore, sul salvataggio della Banca Popolare di Bari, con i renziani furibondi per un intervento da 900 milioni che viene deciso senza batter ciglio mentre il loro capo, quando era premier, venne crocifisso proprio dai grillini come uno che faceva favori ai banchieri. E poi si litiga sul Mes il Fondo Salvastati europeo cui Conte ha dato l’ok prima con il ministro giallo-verde Tria e ora con quello giallo-rosso Gualtieri; ma che Di Maio ora contesta per non farsi scavalcare da Salvini che urla all’«alto tradimento ai danni dell’Italia» che avrebbe commesso il governo di cui sia lui, Salvini, che Di Maio erano vicepremier. Bizzarrie della polemica politica. Per ora Conte ha ottenuto il rinvio della firma. Sollievo.

E poi la gigantesca grana dell’Ilva, la più grossa delle tante vertenze aziendali accumulatesi al Mise durante l’inesistente gestione Di Maio. Alla fuga del gruppo franco-indiano che aveva firmato un’intesa con Calenda, Conte sta provando a rimediare con un intervento pubblico che dovrebbe salvare lo stabilimento (sempre che i giudici siano d’accordo). E in sospeso ci sono anche le concessioni autostradali che i grillini vorrebbero ritirare per punire la Società Autostrade del crollo del ponte Morandi. Vita tribolata, dicevamo, che rischia di trasformarsi in tribolatissima se continueranno le defezioni di senatori grillini in fuga verso la Lega. Potrebbero far mancare la maggioranza in Senato. Ma niente paura: è in formazione un gruppo di «responsabili» pronti all’uso che potrebbero garantire la vita del governo evitando le urne anticipate. Tornare a Roma, comandamento numero uno del parlamentare in bilico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA