Cellule neonaziste
Rischio impunità

Stiamo assistendo nel nostro Paese al riemergere di un fenomeno che pensavamo fosse ormai storia passata: è la rinascita a pelle di leopardo di un attivismo estremista di destra che può prendere le forme delle violenze antisemite, come anche quelle della minaccia di lotta armata. Le cellule scoperte dalla Digos di Enna, ma ramificate in mezza Italia, sono l’emblema di questa recrudescenza. «Possiamo avere a disposizione armi e esplosivi, sforneremo soldati pronti a tutto.

Presto costituiremo il Partito Nazionalsocialista Italiano dei Lavoratori», ha detto una delle leader del gruppetto, aspirante sergente di Hitler. Si tratta di donne pronte a presentarsi come soggetto politico, arruolando nuovi adepti via social: tutti erano in contatto attraverso una chat chiusa denominata «Militia».

La realtà emersa dall’indagine è quella di un sottobosco neonazista, con un insolito vertice tutto al femminile e con un ex pentito dell’ndrangheta nel ruolo di addestratore. Per capire la stranezza della situazione, tra le persone di primo piano ci sono una mamma 45enne originaria di Cittadella che a quanto pare conduceva una doppia vita, e una 26enne che avrebbe partecipato e vinto il titolo di «Miss Hitler». Insomma, siamo davanti a profili contrassegnati da un mix di paranoia, di fanatismo e di violenza quanto meno potenziale. Sono profili simili a quelli che nei giorni scorsi si sono resi protagonisti di ripetuti gesti antisemiti a Roma: un paio di notti fa sono state imbrattate le targhe delle vie dedicate a Nella Mortara e a Mario Carrara, due perseguitati dal regime fascista. Le pietre d’inciampo che ricordano le vittime dei lager nazisti nei luoghi dove avevano vissuto, sono spesso oggetto di profanazione.

E in questo contesto si inquadrano anche le violenze via social di cui è vittima Liliana Segre, per la cui incolumità si è dovuto addirittura far ricorso alla scorta.

L’operazione che ha portato alla scoperta delle cellule nere ad Enna è stata chiamata dagli inquirenti «Ombre nere». È un nome che suggerisce l’idea che oltre a rappresentare una minaccia, queste realtà sono qualcosa di oscuro rispetto alla nostra capacità di analisi della società italiana di oggi. Ed è questo il dato più pericoloso: non conoscendoli, non riuscendo a spiegare quello strano mix che li caratterizza (vedi la centralità della componente femminile), diventa complicato disinnescarne il pericolo o combatterli. Hanno un aspetto rozzo e antimoderno, eppure sanno padroneggiare i social, trasformandoli in un’arma ulteriore a loro disposizione. Anzi, c’è da pensare che proprio i social siano un amplificatore diabolico e contagioso delle loro paranoie, in quanto come tante volte verificato, tutte le espressioni di irrazionalità trovano purtroppo un habitat congeniale nel web: quantitativamente sono probabilmente minoritarie, ma fanno molto più rumore e soprattutto fanno molto più facilmente breccia. La possibilità di presentarsi in rete con falsi profili rende più spavaldi i violenti, che alzano i toni proprio perché sanno che possono farla franca. In quella che Luca Ricolfi ha definito nel suo ultimo libro la «società signorile di massa», cioè la società in cui viviamo, un estremismo, come quello che le cronache stanno documentando con sempre maggiore frequenza, sa di poter contare su una sorta di impunità morale. Tutt’al più devono fare i conti con sussulti di indignazione, spesso per altro dettata da ragioni politiche. Per il resto non si riesce ad andare oltre ai bei discorsi e in realtà ci sentiamo un po’ disarmati davanti a fenomeni tanto inaccettabili quanto incomprensibili. Così non resta che augurarsi che siano davvero solo frutto di un fanatismo socialmente marginale.

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