Cattolici democratici, il tempo della semina

ITALIA. Per capire il senso dell’iniziativa dei cattolici democratici, sabato a Milano, bisogna partire dalla Settimana sociale dei cattolici di luglio a Trieste.

È lì la discontinuità: un risveglio delle energie fino a quel punto dedite esclusivamente al sociale (poveri, immigrati, tutto ciò che riguarda gli «scarti umani») per uscire allo scoperto in un ambito politico, nella politica di tutti i giorni dove la prosa prevale sulla poesia, rispondendo all’appello di chi ritiene che oggi la democrazia sia sotto assedio. Non succedeva da qualche decennio. Dismissione dalla «retorica del prepolitico» per entrare nei luoghi dove tutto è politico, con un’idea di società: un «agire pensante», il recupero della fraternità, un’«intelligenza relazionale» per consentire reciproca conoscenza e legittimazione fra diversi.

Laicato cattolico e cattolici democratici hanno riattivato la responsabilità di fare percorsi insieme, con questa triangolazione: chi agisce nei partiti, chi opera nel sociale, chi si dedica al pensiero lungo come gli intellettuali

Per certi aspetti, oggi si pone una questione cattolica, fin qui ritenuta addomesticata dal nuovo senso comune. Su queste basi laicato cattolico e cattolici democratici hanno riattivato la responsabilità di fare percorsi insieme, con questa triangolazione: chi agisce nei partiti, chi opera nel sociale, chi si dedica al pensiero lungo come gli intellettuali. Democrazia partecipata e dal basso, quindi ascolto del territorio. Un esempio: la Rete di Trieste, nata con la Settimana sociale, oggi riunisce 400 amministratori locali e debutta a febbraio. Proprio perché la democrazia è la casa comune, il primo obiettivo dei cattolici democratici è convincere al voto chi diserta le urne: non solo meno di 5 elettori su 10 rimane a casa, ma il 21% preferirebbe regimi autoritari e l’11% non sa cosa scegliere. Il ritorno dei cattolici, plurale come è nella sua tradizione e a cavallo di più ambiti, spesso è avvenuto assumendo la guida dei cambiamenti storici: passaggi che hanno trasformato la storia del Paese. Così è stato con Sturzo, De Gasperi, Fanfani e Moro. Fasi di rottura come quelle di oggi vedono il cattolicesimo democratico messo un po’ ai margini, quasi costretto sugli spalti. Diagnosi e buone pratiche, però, non mancano.

I temi attuali

L’allerta è severa, anche rispetto ai benpensanti del quieto vivere: Trump, tecno-capitalismo, disagio sociale e giovanile, capitolo famiglia abbandonato, bipolarismo con l’elmetto, leaderismo estremo, mediatizzazione della politica, relazioni inquinate dai social. Tornano parole desuete in una politica malata, come consenso e mediazione.

È chiaro che il mondo «della terra di mezzo» avverte di essere controvento, talora minoritario, su questioni nevralgiche. Ad esempio: l’opposizione alla verticalizzazione delle istituzioni, il rifiuto di leggere tutto in chiave economica ed utilitaristica, secondo le categorie che vanno per la maggiore, la contrarietà alla logica della forza nelle relazioni internazionali. Sconta anche il sovrapporsi di due piani che andrebbero distinti: il ruolo dei cattolici nella politica italiana e il posizionamento tattico in un partito. La parte e il tutto. Non c’è dubbio che l’incontro di Milano dei catto-dem abbia riassunto il disagio e l’analisi critica rispetto alla leadership del Pd, e in particolare di Elly Schlein, distante per formazione e cultura: sia per i silenzi sui temi più sensibili che per un dibattito ridotto ai minimi termini. Da tempo non succedeva una critica mirata, e di sostanza concettuale, alla segreteria sulla base della richiesta di una collegialità delle decisioni, mentre l’impressione è che questo Pd inclini verso il conformismo del «partito del capo» e di una leadership-influencer. E che fino ad oggi s’è riparato dietro l’ovvia considerazione di non disturbare il manovratore se porta a casa consenso. Per quanto la legge elettorale e le non esaltanti esperienze neo-centriste di questi anni impongano di fatto una lealtà rispetto alle origini, l’impressione è che il cattolicesimo democratico, tra i soci fondatori del Pd, abbia perso un suo ruolo strada facendo.

La fatica del riformismo sociale

Lo stesso vale per l’area riformista liberaldemocratica, parallela ma distinta dai catto-dem, pure lei in difficoltà. Un partito, in sostanza, che in termini molto relativi beneficia dei deficit della destra, ma che fatica ad affrontare i grandi temi del riformismo sociale. Le riflessioni dei cattolici che si riconoscono nel Pd, per il momento lontani dalla tentazione di aprire inediti contenitori, chiedono al vertice del partito un comune esame di coscienza, ponendo una domanda essenziale: qual è il progetto di società. Quanto a loro, sanno che la buona battaglia dei cattolici impegnati in politica è la difesa costituzionale della democrazia e la reazione ai nemici della convivenza civile: è il tempo della semina, il resto si vedrà.

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