Caso Ungheria, le incognite sulla destra italiana

Quando al Parlamento europeo si mette sotto accusa il più filo-russo dei partner Ue, l’ungherese Orban, per la sua illiberale concezione della democrazia, il centrodestra italiano - quello stesso che sta marciando verso la conquista del potere - si divide ancora una volta sulla politica estera: solo Forza Italia si schiera contro Orban, mentre Lega e Fratelli d’Italia continuano a spalleggiarlo aprendo un baratro nei confronti degli alleati. Berlusconi ne prende occasione per avvertire i suoi partner («Questi signori»): se il governo di centrodestra che si formerà, dice, non sarà in linea con l’europeismo e l’atlantismo, Forza Italia si sfilerà.

E così le contraddizioni interne della coalizione che bollono da tempo, provocano per la prima volta una rottura palese. Tutto ciò non era accaduto quando, felpatamente, Giorgia Meloni aveva preso le distanze dalle posizioni di Salvini contro le sanzioni («Non servono, colpiscono più noi che loro, vanno ridiscusse») senza però per questo provocare una crisi. La crisi invece si manifesta per mano del vecchio Cavaliere, ansioso di rimanere nel campo tradizionale di chi sta con la Nato, con l’America e con l’Europa in ogni caso: condannando Putin per l’invasione dell’Ucraina, mandando armi a Zelensky e punendo il Cremlino con le sanzioni, strigliando il filoputiniano Orban.

Forse Berlusconi sta già prendendo posizione in vista di qualcosa che accadrà dopo il voto del 25 settembre? I sospetti hanno già preso a circolare velocemente, facendo tornare il fantasma di un nuovo governo «di unità nazionale». Eppure il predestinato a guidare un simile esecutivo, Mario Draghi, bruscamente smentisce di essere disponibile ad un nuovo incarico. E questo rende il quadro ancora più confuso. Nessuno sa quale sarà il risultato delle urne, quanto grande sarà il margine di successo della Meloni, quanto riuscirà a raccogliere Salvini - in discesa - e quando Berlusconi, che pure sta «tenendo». Più questi numeri saranno incerti, più il centrodestra si incrinerà, ed è ormai chiaro che sarà sulla politica estera il vero snodo. Basterà che Berlusconi si tiri indietro perché la maggioranza, specialmente al Senato, non ci sarà. O sarà risicatissima. E allora una Meloni che non riesce del tutto a convincere americani ed europei della propria evoluzione, che anzi continua a difendere l’indifendibile Orban, che è affiancata dal più filo-russo degli esponenti politici italiani, quello su cui si sono addensati i sospetti (diradatisi, almeno per il momento, quando Washington ha detto a Draghi che nella lista dei corrotti dai russi non ci sono italiani), potrebbe trovarsi impossibilitata a manovrare.

Draghi concluderà il suo mandato di presidente del Consiglio con un viaggio estremamente significativo a Washington dove sarà ricevuto con tutti gli onori da Biden. Quel tipo di rapporto con gli Usa e con gli alleati sarà il paradigma cui una eventuale presidenza Meloni dovrebbe uniformarsi: ma potrà farlo? Per esempio, accetterà la leader di FdI che Salvini diventi ministro dell’Interno immediatamente in polemica con le politiche Ue sull’immigrazione e magari tentato di fare ogni giorno il contro-canto a Palazzo Chigi? Non c’è dubbio che il campo del centrosinistra sia pervaso dal disordine e dalla discordia e che nessuna coalizione sia stata costruita intorno al Pd che deve accontentarsi di un mini-accordo con Fratoianni e Bonelli. Ma nello stesso tempo il quartier generale del centrodestra è assillato da tanti problemi, messo sotto la lente da tutte le cancellerie e dagli investitori internazionali, diviso da posizioni diverse e ambizioni confliggenti tra loro. C’è da chiedersi se Berlusconi non abbia fatto la mossa che anticipa tutto e tutti.

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