L'Editoriale
Martedì 09 Novembre 2021
Casa dei desideri
e catasto iniquo
Nonostante la mutazione socioculturale e spazio-temporale in atto legata all’avvento dell’era digitale, per la maggior parte di noi esiste ancora un punto fermo che pare inscalfibile: il desiderio di mettere su casa. Un paradosso fatto di mattoni, radici e desiderio di solidità, che nel nostro Paese persiste insensibile ai richiami di una modernità globale sempre più «liquida». Tutto ciò ce lo racconta bene una recente indagine di Elexia avvocati & commercialisti - rinomato studio con sedi in Italia e all’estero - che offre un quadro dettagliato sui possessori di abitazioni in Italia. Emerge così che la maggior parte dei proprietari di case appartiene alle classi di reddito medio basso. La maggiore concentrazione si trova nelle aree a minor reddito - Sud e isole - con il 78%, mentre al Centro sono il 72,3% al Nord il 74%. La media europea è il 70%. Circa un quinto dei proprietari di case ha redditi inferiori ai 10 mila euro lordi annui, il 68% ha entrate che non superano i 26 mila euro annui e solo il 3% vanta proventi oltre i 75 mila euro. Il 42% dei proprietari di case ha come fonte principale un reddito da lavoro dipendente e due terzi dei proprietari ha più di 50 anni.
Un trend significativo, che testimonia la crescente integrazione di stranieri nel nostro Paese, è rappresentato dalla crescita dei cittadini extracomunitari proprietari di case che sono circa 231mila, pari al 17% dei contribuenti stranieri, con un picco del 24% in Lombardia. Tra gli extracomunitari che lavorano e risiedono regolarmente in Italia, uno su sei è riuscito a comprarsi una casa.
L’indagine di Elexia ci dice anche che negli ultimi dieci anni i prezzi delle abitazioni sono scesi in media del 20%, mentre in Europa sono cresciuti del 20%. I mutui sono in costante crescita e ammontano a circa 406 miliardi di euro, a dimostrazione che per decenni migliaia d’italiani hanno contratto mutui per pagare la casa in cui abitano. L’indagine sottolinea anche che su questi proprietari gravano ingenti costi di gestione e manutenzione e un’elevata tassazione. Le imposte superano i 40 miliardi di euro.
Di queste, circa la metà sono rappresentate dall’Imu su seconde case e abitazioni di lusso, il resto da Irpef, cedolare secca sugli affitti e imposte sugli acquisti (registro, ipotecarie e catastali). Il gettito complessivo degli immobili è tuttavia diminuito di circa 3 miliardi di euro, in seguito all’eliminazione dell’Imu sulla prima casa. A conclusione dell’indagine viene sottolineato che ulteriori aggravi fiscali rischierebbero di frenare la crescita del settore immobiliare, penalizzando soprattutto chi la casa la vuole acquistare per viverci. Proprio la circostanza che ciò potesse avvenire nei prossimi mesi, con l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del disegno di legge delega per la riforma del sistema fiscale, spiega in parte le ragioni - in realtà legate prevalentemente a esigenze elettorali - che hanno indotto Matteo Salvini a non far partecipare al voto i rappresentanti della Lega.
Il provvedimento stabilisce che il governo avrà 18 mesi di tempo per approvare uno o più decreti legislativi per la riforma del fisco e che questa riforma dovrà rispondere ad alcuni principi e criteri direttivi tra cui: la razionalizzazione e la semplificazione del sistema tributario, con il mantenimento della sua progressività; la riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale; la riduzione delle aliquote sulle persone e sulle imprese che fanno riferimento a vari scaglioni di reddito; la semplificazione dell’Iva. Nella legge delega hanno trovato spazio anche una serie di principi di revisione del sistema catastale italiano, giudicato universalmente iniquo e inefficiente, che si propongono di rafforzare gli strumenti per mappare gli immobili abusivi o illegittimi sconosciuti al fisco e allineare meglio le rendite catastali con i valori di mercato degli immobili. Quest’ultimo aspetto dovrà essere preso in esame, sulla base di tutti gli elementi raccolti, a decorrere dal primo gennaio 2026. Sarà il governo allora in carica, avendo un quadro di riferimento ben preciso messo a punto dalla recente legge delega, ad assumere ogni opportuna decisione in aumento o in diminuzione delle aliquote. Decisione che nessuno può oggi ipotecare.
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