Casa Bianca, la sentenza e gli effetti sul mandato

MONDO. Chi potrà mai negare che gli Stati Uniti sono la terra delle opportunità? Prendiamo Donald Trump.

Il palazzinaro-presentatore Tv prima è riuscito a diventare presidente, otto anni dopo a farsi rieleggere, ieri a diventare il primo presidente degli Stati Uniti con una condanna penale sulle spalle. Ultimo ma non ultimo, grazie alla vittoria elettorale e alle protezioni garantite dalla carica, è anche il primo pregiudicato che per la condanna non subirà alcuna pena, nemmeno una multa.

Il caso Stormy Daniels

Il caso Stormy Daniels, peraltro, è tutto paradossale. Riassumendo: tutto comincia nel 2007, quando Trump (allora da poco padre di Barron, con Melania sposata due anni prima) ha un incontro a sfondo sessuale con Stephanie Gregory Clifford, in arte Stormy Daniels. Arte si fa per dire: la signora, all’epoca, era al crepuscolo di una carriera di spogliarellista e interprete di oltre 300 film porno. Della faccenda non si seppe nulla per un decennio, fino a quando Trump (2016) divenne presidente. Cominciarono i pettegolezzi finché nel 2018 il «Wall Street Journal» spiattellò tutta la storia. Poco dopo, a orologeria, Clifford-Daniels rilascia una clamorosa intervista in cui non solo conferma tutto ma racconta di aver firmato nel 2016 con Michael Cohen, avvocato di Trump, un accordo di riservatezza compensato con la somma di 130 mila dollari.

La condanna di Trump

A portare Trump alla condanna non è stata la donna ma i dollari. La somma, infatti, era stata spacciata come una «spesa elettorale» nei bilanci di «The Donald», una di quelle falsificazioni fiscali che la giustizia americana non tollera. Così, di udienza in udienza, di rinvio in rinvio, si è arrivati alla condanna di ieri. Lungi da noi l’idea di criticare una sentenza. Restano però alcuni fatti da ricordare. Trump è quello che è ma Clifford-Daniels non è certo una vittima. Ha incassato i 130mila dollari e poi, verosimilmente, è corsa dai giornalisti nella speranza di ottenere di più, visto che Trump era alla Casa Bianca e aveva tutto da temere da uno scandalo. E quando la tempesta mediatica era al culmine, portò in giro per gli States un penoso spettacolo intitolato «Make America horny again!» (più o meno, e ci scusiamo: rendi l’America di nuovo arrapata!), speculando sullo slogan trumpiano «Make America great again!» (MAga). In più, come vedete, i giornali parlano di 34 capi d’imputazione a carico di Trump, senza però precisare che 34 furono i passaggi burocratici per nascondere nelle pieghe del bilancio quei 130mila dollari. Di fatto, lo stesso reato ripetuto in 34 documenti. Non cambia nulla, nella sostanza, ma sono cose che è almeno curioso sapere.

Le ripercussioni della sentenza

Resta ora da chiedersi come e quanto la sentenza di New York (il presidente eletto ha già annunciato ricorso) potrà influire sull’ormai prossimo secondo mandato presidenziale di Donald Trump. La risposta potrebbe essere divisa in due. All’interno degli Stati Uniti non farà che confermare gli schieramenti già esistenti. Chi già detestava Trump continuerà serenamente a farlo. Chi lo appoggiava idem. Va ricordato, a questo proposito, che per batterlo nel 2020 Joe Biden dovette fare il record dei voti e che il tycoon, pur sconfitto, aumentò il numero dei consensi, dopo una presidenza almeno controversa. Quello che sorprende, piuttosto, è la facilità con cui sono state «dimenticate» altre pendenze di Trump: vederlo ballare mentre, nel gennaio del 2021, i suoi seguaci davano l’assalto al Campidoglio dovrebbe essere una colpa assai più pesante di una squallida storia di sesso a pagamento. Ma forse questa è una sensibilità da europei. Per quanto invece riguarda il contesto internazionale, i leader degli altri Paesi continueranno magari a sfotterlo o a disprezzarlo, come avveniva otto anni fa, ma in segreto.

La sensazione è che questa sua seconda presidenza venga considerata con molta maggiore serietà e preoccupazione della prima. Pensate se otto anni fa Trump avesse fatto le sparate su Panama, Canada e Groenlandia: sarebbe stato sommerso dai lazzi, mentre oggi tutti temono che faccia sul serio. Altrettanto per l’Ucraina: per tre anni parlare di negoziato è stato quasi una bestemmia, ora lo fa lui e tutti si allineano. È un segno dei tempi che abbiamo vissuto, ovviamente. Ma forse anche un segno di quelli che stiamo per vivere.

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