Casa Bianca, un rebus la visita di Meloni

MONDO. La visita ufficiale di Giorgia Meloni a Washington - così cercata, così desiderata - si svolgerà decisamente sotto una cattiva stella. Nonostante questo potrebbe rivelarsi una buona opportunità per la presidente del Consiglio.

Vediamo perché. Il fatto che Meloni sia la prima premier europea ad essere ricevuta alla Casa Bianca dopo la volgarissima e incredibile affermazione con cui Donald Trump in versione saloon di Kansas City ha offeso i Paesi che hanno chiesto di negoziare con gli Usa la misura dei dazi, espone lei e il nostro Paese ad essere identificata con le parole di Trump che qui non vogliamo ripetere. Insomma, la visita rischia di trasformarsi, politicamente, diplomaticamente, mediaticamente, in un umiliante omaggio al dispotico alleato d’Oltreoceano. Diciamocelo: è proprio una sfortuna che capiti così. Non a caso a Roma le opposizioni si sono scatenate contro Meloni attribuendole il demerito di andare a Washington con la mano stesa: Pd, Cinque Stelle, AVS e altri ancora le hanno rinfacciato di sottoporsi a questa umiliazione proprio lei che parla ogni volta che può di onore e orgoglio nazionale.

La missione transoceanica

Per rendere ancora più imbarazzante la missione transoceanica, ci si è messa la Francia, gonfia di sospetti nei confronti di Meloni al punto da riecheggiare le stesse accuse delle opposizioni italiane. Su questo piano, la replica a Fratelli d’Italia è venuta davvero facile: forse che le missioni di Macron a Washington sono state una umiliante dichiarazione di infedeltà all’Europa di fronte al presidente che più di tutti i suoi predecessori si adopera per smembrare l’Ue e indebolirla, sottomettendola ad una logica imperialista? No di certo, e dunque perché per Meloni dovrebbe essere così? E anche Antonio Tajani ha suonato la stessa musica: «Evidentemente a Parigi non hanno capito lo spirito di questa missione, l’Unione europea è ben contenta che l’Italia vada a parlare per sostenere le posizioni europee. Mi pare che la Francia di missioni ne abbia fatte tante. Noi siamo l’Italia e lavoriamo nell’interesse dell’Unione europea». Quando poi è stata Ursula von der Leyen in persona a difendere la sua amica di Palazzo Chigi («Giorgia non tradirà l’Europa»), anche l’Eliseo ha fatto marcia indietro: «Tutte le voci che portano al dialogo sono benvenute» è stata la frase dell’armistizio.

Il negoziato con l’Europa

Dopodiché se la coincidenza con le volgarità è un problema, quella con la sospensione per novanta giorni dei dazi decisa all’improvviso da Trump ieri pomeriggio, può essere una circostanza utile. Perché in questo caso Meloni sarebbe la prima premier straniera che va a parlare con il presidente americano in una fase (ancorché transitoria) di distensione che può favorire un negoziato. Un negoziato con l’Europa, beninteso, unica titolare di queste trattative, come sempre von der Leyen ha ricordato a Meloni. E tuttavia la nostra delegazione potrebbe tornare indietro non con impensabili vantaggi esclusivi per l’Italia - cosa che ci esporrebbe alla condanna dei partner europei - ma con un messaggio di apertura alla Ue da parte della Casa Bianca. Questo consentirebbe a Meloni di rinfrescare quel ruolo «particolare» di «pontiere» cui lei ha aspirato fin dalla rielezione di Trump ma che si è molto opacizzato nelle ultime settimane in cui i veri protagonisti europei stavano a Bruxelles, a Parigi, a Berlino e, volendo, anche a Londra.

Conclusione: non è detto che una iniziativa nata male nel momento peggiore, finisca peggio. Può darsi anche che l’inquilina di Palazzo Chigi torni nel suo ufficio con in mano un piccolo serto di alloro.

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