L'Editoriale
Martedì 06 Settembre 2022
Caro energia, serve un Piano Marshall
Le quotazioni del gas hanno ripreso a salire ieri alla riapertura dei mercati che hanno «prezzato» così l’ultimo ricatto russo: la chiusura del gasdotto Nord Stream fino a quando rimarranno in essere le sanzioni occidentali e dunque l’ulteriore riduzione dei flussi di metano verso l’Europa. Ne è seguito un nuovo scivolone delle Borse.
E quello finanziario è solo l’impatto più superficiale, per quanto non lieve, dell’attuale tempesta nei mercati dell’energia. A un maggiore livello di profondità, come noto, c’è il contraccolpo per aziende e cittadini. La bolletta energetica del Paese, cioè il costo delle importazioni nette di energia, nel 2021 ammontava a 43 miliardi di euro e nel 2022 potrebbe salire fino a 100 miliardi, ha detto il ministro dell’Economia, Daniele Franco, al Forum Ambrosetti. Un rincaro che, nonostante gli sforzi del Governo, rischia nelle prossime settimane di erodere la base industriale italiana e il potere d’acquisto dei cittadini, fino a minare la stessa coesione sociale del nostro Paese.
C’è infine un livello ancora più profondo sul quale insiste il caro energia che – ricordiamolo - è iniziato prima dell’invasione russa dell’Ucraina ma che il Cremlino sta facendo di tutto per rendere oltremodo gravoso. Il tentativo di Mosca è infatti quello di piegare la volontà e la tenuta delle opinioni pubbliche occidentali che finora, prima quasi per istintiva solidarietà col vicino più debole e poi maturando la consapevolezza della gravità sistemica dell’aggressione russa a un Paese sovrano, hanno accettato di sostenere una parte del peso delle sanzioni occidentali alla Russia e le contromisure di quest’ultima contro di noi. Il rischio è che lo stallo militare sul campo, associato a ricadute sempre più negative sulla nostra economia attraverso il canale energetico, possano comprensibilmente incrinare una simile tenuta. La «pazienza strategica» delle popolazioni civili, durante un conflitto armato (in cui noi stavolta siamo coinvolti solo indirettamente), è un fattore importante per determinare vincitori e vinti.
Il presidente Vladimir Putin lo sa bene, e per quanto riscuota – secondo le poche rilevazioni indipendenti - di un discreto sostegno popolare, è pure rapido e spietato nel riparare qualsiasi crepa nel muro del consenso, come ha fatto ieri spegnendo l’ennesima voce di dissenso e revocando la licenza al giornale indipendente Novaya Gazeta. Nelle democrazie liberali la «pazienza strategica» non si può per fortuna inculcare dall’alto, ma come dimostra la storia – si pensi allo slogan britannico «Keep calm and carry on» durante l’attacco nazista – può essere alimentata e mantenuta con successo. Servirebbero, in primo luogo, decisioni rapide ed efficaci dalla leadership europea, e su questo Bruxelles (e Berlino) spesso non brilla, come dimostrato dalle lentezze a proposito del tetto al prezzo del gas. Poi sarebbero auspicabili una maggiore lungimiranza e generosità dalla leadership di Washigton che – per sua stessa ammissione – dovrà affrontare minori difficoltà economiche rispetto a noi. I produttori americani di gas naturale liquefatto, è vero, in questi mesi hanno aumentato le loro esportazioni verso l’Europa, ma a guidarli sono state – legittimamente, per carità – le occasioni di profitto. Perché non immaginare invece un supplemento di forniture energetiche a stelle e strisce, o comunque convogliate col beneplacito della Casa Bianca, sul modello dell’Economic Recovery Program ideato nel 1947 dall’allora segretario di Stato, George C. Marshall? Quel Piano Marshall – che valeva 13,2 miliardi di dollari, pari all’1,1% del Pil americano e al 2,6% del Pil dei Paesi europei riceventi – ebbe successo nel rilanciare la nostra economia, ma soprattutto nel diffondere i principi del libero mercato e nel rinsaldare i legami transatlantici sfibrati dalla Seconda Guerra mondiale.
Oggi un «Piano Marshall energetico» darebbe concretezza alla spesso evocata «solidarietà atlantica»: aiuterebbe almeno in parte le nostre aziende, che a quelle americane sono molto legate, ed equivarrebbe a una mano tesa dagli Stati Uniti verso la nostra opinione pubblica. Per l’America si tratterebbe di uno sforzo straordinario ma non infinito. Già dalla prossima primavera il ricatto energetico di Putin perderà peso. Arrivare uniti fino a quel momento è nell’interesse di tutte le democrazie occidentali.
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