Carabiniere islamico
e la nuova italianità

La storia di Badar Eddine Mennani è una di quelle storie minime destinate però a segnare un discrimine nella nostra storia collettiva. Lui infatti è il primo ragazzo di fede islamica ad aver giurato per l’Arma dei Carabinieri. È successo sabato scorso, alla caserma Cernaia di Torino: tra 396 allievi pronti a entrare nell’Arma c’era anche lui, figlio di immigrati marocchini, nato a Santa Maria Capua a Vetere 23 anni fa e ora residente con la sua famiglia in terra bergamasca, a Chiuduno.

I Carabinieri, come ben sappiamo rappresentano la quintessenza dell’italianità, così la vicenda di Badar Eddine ci testimonia come questa idea di italianità stia mutando, restando fedele a sé stessa; infatti è un’identità che fortunatamente non si arrocca ma si apre alle grandi novità sociali, umane e culturali che hanno segnato la vita del nostro Paese in questi decenni recenti.

Oggi i musulmani in Italia rappresentano quasi il 3% della popolazione, molti di loro hanno preso cittadinanza, contribuiscono in modo fattivo ai processi economici e al Pil del nostro Paese. Per questo è stato simbolicamente importante, da parte dei Carabinieri, non solo arruolare questo rappresentante di una nuova Italia, ma anche dare una rilevanza pubblica e mediatica a questo fatto. Certo così si è data la stura alla solita ondata di volgarità e di cattivismo che da un po’ di tempo in qua ribolle nel web. Ma valeva la pena correre questo rischio.

Per capirlo basta guardare la bellissima foto che precede il giuramento di sabato. Si vede Badar Eddine con in testa la «lucerna», il cappello con il pennacchio blu e rosso che è simbolo della Benemerita. Colpisce soprattutto quella fronte alta e la fierezza del suo sguardo, che non riesce a trattenere un senso di orgoglio e insieme di commozione. A completare la scena si vede anche la giovane sorella, con un velo semplice ed elegante, che sta sistemando gli alamari della divisa del fratello. È una foto emblematica, che dice più di mille discorsi o di mille analisi: ci fa infatti capire quanto profondo sia in tantissimi casi l’assorbimento dei nostri valori da parte degli immigrati, indipendentemente dall’origine e dalla cultura di appartenenza.

Si può aggiungere anche un’altra riflessione. Se la vicenda di Badar Eddine ci colpisce è perché vi ritroviamo un qualcosa che nella nostra coscienza collettiva si è un po’ perso o che percepiamo con molta tiepidezza. È il senso di un’appartenenza nazionale, che non è questione di tifo calcistico, ma è qualcosa che tocca le scelte e i doveri della vita di ogni giorno. Spesso in chi è «italiano» nuovo avvertiamo un senso di appartenenza e una coscienza civile più vivi e anche più vissuti. È stata infatti la mamma di Badar Eddine a dire che quella dei Carabinieri è una famiglia, e di sentirsi dunque «onorata» che suo figlio entrasse a far parte anche di quella nuova famiglia. È la coscienza che l’appartenenza non è una dimensione rigida ma fluida, e che storie diverse possono dunque trovarsi a camminare insieme, condividendo gli stessi valori.

A proposito di valori, nessuno può sentirsene proprietario. I valori non sono una cosa astratta, non sono delle gabbie rigide; i valori vivono grazie all’esperienza di chi li scopre e ne prende coscienza. Nella storia di Badar Eddine dobbiamo perciò registrare anche questo: abbiamo incontrato l’orgoglio di riconoscersi in questi valori, e il desiderio di fare di questo riconoscimento un atto pubblico, a fronte alta. È un segno limpido di un’Italia che cambia, nella convinzione che il cambiamento porta un valore aggiunto. E che il nuovo che si aggrega è nel segno della tradizione, nel senso che la fa più viva e più ricca.

© RIPRODUZIONE RISERVATA