Cambiamenti clima
Soluzioni pragmatiche

Il surriscaldamento del pianeta non è ormai più contestato nemmeno dai più incalliti negazionisti; le frequenti tragedie provocate dai cambiamenti climatici sono sotto gli occhi dell’opinione pubblica internazionale; i politici mondiali sono stati finalmente costretti a inserire nella loro agenda un argomento divisivo, dai vantaggi personali quasi nulli. La gravità del momento esige il pragmatismo più lucido, ma, purtroppo, già si intravvedono in giro per i cinque continenti forme di estremismo verde. È proprio vero: dopo tanto tergiversare l’umanità si trova a dover affrontare, con urgenza, scelte epocali, non più procrastinabili, dai pericoli geopolitici immensi, dai costi sociali altissimi, dagli esiti incerti.

Scelte, è bene evidenziarlo, segnate pure dall’incertezza su quale strada sia meglio percorrere in presenza di opinioni diverse, se non opposte, degli esperti. Una strada, per rendere ancora più complicata la situazione, lastricata da interessi colossali, spesso non conciliabili fra loro.

Adesso abbiamo davanti agli occhi le immagini ancora a caldo delle ultime tragedie ambientali. Ma quale sarà la reazione dei tanti, oggi ecologisti sfegatati, quando, tra poco a freddo, si arriverà a toccare il loro portafoglio? Ad esempio, obbligandoli a rottamare la propria automobile diesel.

Le prime avvisaglie della necessità di dover fare dei sacrifici si sono già avute: una delle cause del recente aumento, in taluni casi esponenziale del prezzo delle materie prime – dicono gli esperti –, è rappresentato proprio dalle nuove tasse sull’energia per finanziare la transizione.

Nel frattempo, in questi ultimi mesi, è stato un moltiplicarsi di apparizioni di stars e suffragette verdi dalla lingua tagliente, di prese di posizione di movimenti di nicchia o di partiti decotti che intendono riciclarsi con la questione ecologica. Prepariamoci a manifestazioni simili a quelle passate in America di Occupy Wall Street o da noi No Tav o No vax in un senso o nell’altro.

Sarebbe invece auspicabile che in un frangente così complicato - dopo la prima presa di coscienza del problema da parte delle società - emergessero i veri leader politici, quelli in grado di assumere delle decisioni, anche impopolari, stringendo compromessi inevitabili.

La transizione verso un’industria più pulita è oggi tecnologicamente possibile. Il problema è: chi ne paga i costi? Senza andare tanto lontano: perché non la si è fatta a Taranto per tanti anni? Il nodo a Glasgow è politico: chi fornirà le centinaia di miliardi di dollari necessari ai Paesi in via di sviluppo, in particolare all’India per il reset industriale?

I cambiamenti vanno resi convenienti con scelte politiche mirate, altrimenti questi mutamenti non si realizzeranno mai. Le grandi banche, serve ripeterlo, investono dove possono realizzare dei profitti. Lo stesso fanno i colossi energetici, che, comunque la si veda, producono ricchezza e offrono migliaia di posti di lavoro. Attenzione, quindi, al rischio ideologico dietro l’angolo.

Ci sono poi politici che si sono innamorati ad esempio dell’idrogeno, ma, allo stesso tempo, esistono specialisti che denunciano l’esistenza delle «lobby dell’idrogeno». Altri sono favorevoli alle automobili elettriche, ma le loro batterie, oggi poco durevoli, sono terribilmente inquinanti.

Non vi sono, pertanto, scorciatoie per salvare il pianeta e produrre energia pulita. Anzi. Mandare in pensione i combustibili fossili non sarà facile, ma è indispensabile farlo. L’importante è riuscirci lucidamente senza pericolose crisi geopolitiche e senza troppi inutili estremismi.

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